Lamborghini, dopo il successo strepitoso così ottenuto e poi replicato con una fabbrica di bruciatori per riscaldamento, si dedicò alla produzione di veri trattori agricoli che lo trasformarono in un industriale di successo, che poteva permettersi non solo di viaggiare in Ferrari, ma addirittura di presentarsi a Maranello e chiedere di incontrare il Drake in persona, per lamentarsi della frizione montata sulle sue macchine.
Questa è infatti la leggenda che si tramanda sulla nascita delle auto Lamborghini. Tutto trarrebbe origine da una sfida, da una reazione istintiva, un gesto di stizza. Ferrari che prima fa attendere a lungo Lamborghini e poi ribatte alle sue rimostranze facendo notare che provengono da un guidatore di trattori, non di auto sportive…
Il toro della Lamborghini: tutto nacque per una scintilla
E’ la scintilla. Lamborghini acquista un terreno vicino a Modena e convoca una conferenza stampa, annunciando che costruirà una macchina per far vedere cosa sa fare, in barba alla Ferrari.
Dopo un primo modello, la 350 GT, e poi un secondo, la 400 GT che ne costituisce un’evoluzione, ecco al Salone di Torino del 1965 la TP 400. Null’altro che un telaio con motore sedile e volante, ma sufficiente per stupire il mondo.
Non si era mai visto niente del genere. La TP400, esposta così, nuda, brutale, prima ancora di poter pensare ad una carrozzeria idonea, era un concentrato tra le più innovative soluzioni adottate nelle competizioni e le scelte inedite e avveniristiche, soprattutto per un’auto stradale, ideate dai tecnici incaricati da Lamborghini.
L’incontro con Bertone
Motore 12 cilindri a V di 4 litri e 350 cavalli, montato trasversalmente
in posizione posteriore centrale, con cambio e differenziale in blocco e su un telaio di lamiera scatolato e forato. Il tutto a 30 centimetri da terra.
Il pubblico apprezzò grandemente. Ma più di tutti fu Nuccio Bertone, il famoso carrozziere, ad intuire il potenziale enorme di quel progetto, tanto da proporre a Lamborghini, secondo un’altra leggenda, di essere lui, cioè la Carrozzeria Bertone, a “fare la scarpa” per quel piede.
Lamborghini accettò. Si dice soprattutto sull’onda dell’entusiasmo
riscontrato e convinto più dell’utilità promozionale dell’iniziativa, sul marchio in generale, che dell’effettiva possibilità di vendere un gran numero di modelli della nuova auto, tanto da confidare a Bertone, si narra, di sperare in “almeno 50 matti” disposti ad acquistarla.
Tutta sua, di Lamborghini, fu un’altra idea vincente, dare alla macchina il nome di un toro. Anzi, del Toro più combattivo ed indomabile, Miura, inaugurando così una tradizione, quella dei nomi di toro, ancora oggi in uso in Lamborghini.
Nasce la Lamborghini Miura
Al Salone di Ginevra del ‘66 ecco quindi la Miura. Supersportiva estrema, impegnativa, senza compromessi, ma con una linea morbida, tutta curve, forme sinuose e snelle… particolari addirittura civettuoli, le ciglia sopra i fanali e la veneziana al vetro posteriore, sex appeal indiscutibile. “Un’automobile da corsa per andare a spasso” la definiva Quattroruote nel ’67, riuscendo a cogliere l’essenza di quest’auto, bellissima e potentissima. Ma, come i tori della stessa razza, difficile da domare, e nei primi esemplari, anche a causa dei tempi ristretti di progettazione, non del tutto immune da alcuni difetti di gioventù, come il calore sprigionato dal motore, i freni sottodimensionati, qualche problema di aderenza e di stabilità dell’avantreno con poca benzina a bordo, dato che il serbatoio era collocato nella parte anteriore.
Tali imperfezioni, via via scomparse e poi del tutto eliminate con la versione SV del ‘71, non scalfirono minimamente il successo della vettura, che fu immediato e travolgente, fin dalla presentazione alla rassegna svizzera, per di più in un inusuale e spudorato color arancio.
Il Gran Premio di Montecarlo del ’66
Da subito fu scelta come apripista per il giro preliminare del Gran Premio di Montecarlo del ‘66, guadagnandosi così una prestigiosa ed unica ribalta mondiale. Divenne così, in un crescendo inarrestabile un vero e proprio oggetto del desiderio, l’auto più ambita dai vip di tutto il mondo, con un fascino per giunta alimentato dall’essere sistematicamente paparazzata con a bordo i suoi celebri proprietari, dallo Scià di Persia a Frank Sinatra o a Rod Stewart. Oltre ai più famosi cantanti italiani del tempo, e tanto da non permettere alla Lamborghini di evadere nemmeno la metà degli ordini via via ricevuti.
A consacrare il mito giunse poi la decisione inaspettata di Lamborghini di terminarne anzitempo la produzione per lanciare la nuova Countach. Questo, nonostante il successo ottenuto dalla presentazione di versioni derivate dalla Miura, quali la Roadster scoperta o la Jota con allestimento da competizione, rimaste al livello di prototipi. Ciò peraltro permise incidentalmente di risparmiare alla Miura gli effetti negativi sul mercato delle supercar derivanti dalla crisi petrolifera e dalla contestazione nata nel ’68.
Oggi le circa 400 Miura superstiti, delle 764 complessivamente costruite, sono tra le auto storiche più desiderate e sono raramente oggetto di trattative. Quando ciò accade è normale sentir parlare di cifre superiori ad un milione e mezzo di euro, con picchi di ben oltre 2 milioni per esemplari in condizioni impeccabili o con storie particolarmente affascinanti o prestigiose.
Chissà che il balzo delle quotazioni non sia anche dovuto alla magia esercitata dalla semplice presenza del marchio Lamborghini. Il toro a testa bassa, per puro caso lo stesso emblema che campeggia nel cuore di Wall Street a simboleggiare la fase di rialzo dei mercati finanziari.