Un nuovo report di S&P Global Ratings sottolinea l’importanza di una maggiore inclusione dei fattori ambientali e climatici nelle scelte di investimento e nella concessione di prestiti da parte delle banche
“L’integrazione dei fattori ambientali nelle strategie e nel monitoraggio dei rischi da parte delle banche è solo ad una fase embrionale” spiega a We Wealth Francesca Sacchi, associate director financial institutions di S&P Global Ratings e autrice dello studio
Perché le questioni ambientali e climatiche sono un tema sempre più cruciale per il management delle banche?
La crescente frequenza e rilevanza degli impatti che fattori climatici e ambientali hanno sui sistemi finanziari rendono inevitabile la loro valutazione da parte delle banche. Tali fattori possono avere implicazioni sulla performance delle banche e influenzarne il loro posizionamento competitivo, capitalizzazione, profilo di rischio, accesso al mercato dei capitali. Ad esempio, banche che operano in aree geografiche soggette a rischi ambientali potrebbero soffrire, soprattutto nel lungo periodo, di volatilità nei ricavi o di perdite su crediti più elevate. Inoltre, se una banca mostrasse un impegno non sufficientemente credibile su tematiche ambientali, la stessa potrebbe vedersi aumentare il costo della provvista (la media ponderata dei tassi di interesse pagati dalla banca, ndr).
A che punto siamo con l’integrazione dei fattori ambientali nella strategia delle banche?
L’integrazione dei fattori ambientali nelle strategie e nel monitoraggio dei rischi da parte delle banche è solo ad una fase embrionale. Tra le principali criticità notiamo l’inesistenza di una classificazione globale univoca che identifichi i criteri per cui un’attività possa essere definita “green”. Ciò rende più complessa la quantificazione dei potenziali rischi. C’è anche una scarsa disponibilità di dati che deriva dalla mancanza di requisiti di disclosure, al contrario di quanto accade per dati puramente finanziari. Un’altra difficoltà è data dal differente orizzonte temporale, che, per i fattori ambientali, è tendenzialmente più a lungo termine rispetto a quello che siamo abituati a considerare nell’analisi dei rischi finanziari standard.
Che ruolo hanno i regulator in questo contesto?
Le autorità di vigilanza, soprattutto in Europa, sono sempre più esigenti nel richiedere alle banche una maggior incorporazione di fattori ambientali nella gestione dei rischi. Le stesse autorità stanno anche iniziando a considerare tali fattori nella loro attività di supervisione. La BCE ha recentemente pubblicato un “consultation paper” che richiede alle banche di identificare le esposizioni a tali rischi e di determinarne gli impatti sulla strategia di medio-lungo periodo. Questo esercizio fornirà dei parametri di analisi che probabilmente verranno usati nello SREP (Supervisory Review and Evaluation Process, ndr) del 2021. Ciò dovrebbe promuovere la qualità e l’armonizzazione di dati a disposizione degli investitori. Per il momento, però, gli standard rimangono molto diseguali tra diversi players e paesi.
Potrebbe fare un punto sul panorama bancario europeo, in termini di iniziative da parte dei regulator e attenzione delle banche alle questioni ambientali?
In questi ultimi anni la crescente attenzione delle autorità regolamentari e degli investori verso temi ambientali sta facendo compiere alle banche italiane, come a quelle Europee, importanti progressi nel cercare di analizzare i rischi ambientali non esclusivamente da un punto di vista reputazionale, ma come un vero e proprio rischio finanziario. Nonostante la strada da percorrere sia ancora lunga, le banche Europee sembrano essere ad uno stadio relativamente più avanzato rispetto a quelle americane o asiatiche. La ragione si deve cercare nella maggior enfasi e attenzione che i regolatori e le autoritá Europee stanno ponendo sulle questioni ambientali, frutto anche del maggior impegno politico dei governi.