Banche e reti sulla via dei certificati
Le dimensioni dell’industria sono ancora maggiori se si considera che Acepi raccoglie i dati collocati dai soli emittenti associati (una fetta certamente maggioritaria del mercato domestico ma non totale) e che diverse reti di distribuzione utilizzano la forma del private placement per incrementare la raccolta. Tra queste, Banca Generali che, dopo un periodo di test con piattaforma mono-emittente, ha scelto la via dei certificati e dei private placement per incrementare le attività di consulenza evoluta e diversificare la raccolta su strumenti fino a poco tempo fa poco utilizzati. Stesso cammino hanno percorso Banca Mediolanum e Deutsche Bank FA, seguite da tutta la galassia Intesa Private-Fideuram.
Tutta questa liquidità che confluisce verso l’universo dei certificati, rimane peraltro all’interno del segmento anche una volta che i prodotti hanno terminato il collocamento, in virtù del fatto che per ogni certificato emesso vengono garantite la liquidità e la liquidabilità in qualsiasi momento che precede la scadenza. Ecco quindi che anche il mercato secondario, sia il Sedex di Borsa Italiana sia il Cert-X di EuroTLX, sta facendo segnare numeri mai visti prima in termini di controvalore intermediato.
Certificati: mercato italiano sul podio
Scorrendo le statistiche pubblicate da Eusipa, l’Associazione Europea che fa da ombrello alle Associazioni nazionali dei singoli Paesi (tra cui per l’Italia figura Acepi), si nota come nell’ultimo triennio il mercato italiano sia balzato sul primo gradino del podio per gli scambi sui certificati con leva fissa, di cui in Italia Société Générale, secondo i dati pubblicati da Borsa Italiana, detiene stabilmente la leadership in termini di market share, seguita con largo distacco da Vontobel e Unicredit. Per quanto concerne gli oltre 3000 certificati di investimento quotati sul mercato secondario, invece, l’Italia si posiziona subito dietro la Germania come controvalore scambiato con un parterre di emittenti operative di poco inferiore alle 20 unità.
Certificati: le ragioni del successo
Dietro la crescita a doppia cifra del mercato dei certificati si riescono a individuare almeno tre motivi. Il primo è strutturale ed è legato alla flessibilità e duttilità dello strumento finanziario in sé, una scatola giuridica all’interno della quale vengono inserite delle vere e proprie strategie in opzioni, che permettono di affiancare alle asset class tradizionali degli strumenti in grado di proteggere il capitale dai ribassi di mercato (certificati a capitale protetto secondo la categoria Acepi), di generare rendimenti sotto forma di premi periodici con ampia protezione condizionata del capitale (certificati a capitale protetto condizionato) o di ridurre il rischio di portafoglio.
Il primo semestre 2019 ha visto gli investitori spostarsi gradualmente dalla protezione del capitale senza condizioni e rendimenti potenziali molto bassi, ai certificati di tipo Cash Collect o Bonus Cap/Top Bonus, caratterizzati da aspettative di rendimento molto più elevate a fronte di una protezione del capitale attiva fino a discese dei sottostanti azionari del 40 o 50%. A spingere gli investitori verso una maggiore propensione al rischio per ottenere qualche punto in più di rendimento c’è stata la buona intonazione dei mercati finanziari, dopo la pessima performance del 2018, che è proseguita per tutto il semestre. E ora che la parola d’ordine sembra essere la cautela, ecco che gli investitori e i loro consulenti sembrano rivolgere le loro attenzioni ai certificati dotati di facoltà ribassista (per la copertura di portafoglio) o di ampia protezione del capitale.
Efficienza fiscale: l’effetto della compensazione
Il secondo motivo possiamo identificarlo come determinante per la crescita del mercato ed è legato all’efficienza fiscale del certificato. Allo stato attuale i certificati, a differenza di strumenti classici come Fondi o ETF, generano sempre e solo redditi diversi, sia nelle plusvalenze che nelle minusvalenze. Ciò implica che un sempre maggior numero di consulenti sta facendo ricorso ai certificati per andare ad azzerare lo zainetto fiscale dei propri clienti.
Conoscere l’esistenza delle opportunità offerte da tutti i certificati, in termini di compensazione delle plusvalenze generate anche da premi periodici con le minusvalenze in procinto peraltro di scadere definitivamente (la normativa prevede che si possano recuperare le minusvalenze entro il quarto esercizio dall’anno in cui sono state generate), è oggi essenziale per svolgere una consulenza patrimoniale e finanziaria completa. Strutture di tipo Recovery Bonus sono ad esempio particolarmente indicate per questa finalità.
La consulenza e lo spettro delle rendicontazioni
Il terzo motivo si lega all’apertura del mondo delle reti di consulenza nei confronti dei certificati, considerati come strumento innovativo nonostante i 20 anni che già hanno sulle spalle. Lo spettro delle rendicontazioni inviate ai clienti in questa estate 2019 ha spinto le reti a ricercare diversificazione anche negli strumenti proposti e nell’ambito del processo di trasformazione della consulenza, si è intravisto nei certificati il mezzo migliore per avvalorare la commissione a parcella.
Perfetti esemplari di strumenti a gestione passiva con formula chiusa per il calcolo del rendimento o dell’importo di rimborso a scadenza e idonei alla costruzione di portafogli in grado di riunire diversi profili di payoff, i certificati non impongono commissioni di gestione né di performance e se vengono acquistati direttamente sul secondario sono anche privi di costi di collocamento. Una manna per i consulenti indipendenti o delle reti che, in consulenza evoluta, si sentono liberi di utilizzare i certificati in maniera complementare senza rincorrere le logiche delle fee di mantenimento o dei tunnel di uscita.
A cura di Pierpaolo Scandurra – Amministratore delegato di Certificati e Derivati Srl
(primo contenuto di tre, offerto da Société Générale)