La Commissione Ue taglia le stime sul pil italiano: nel 2020 è previsto un calo dell’11,2%
Intanto l’Ocse avverte: la disoccupazione in Italia salirà al 12,4% a fine anno
Secondo un’indagine condotta dall’istituto sulle imprese italiane, oltre un’azienda su 3 rischia la chiusura a fronte della crisi scatenata dal covid
“L’impatto economico del confinamento è più grave di quanto avevamo inizialmente previsto. Continuiamo a navigare in acque agitate e siamo esposti a molti rischi, tra i quali un’altra massiccia ondata di contagi”, ha commentato Valdis Dombrovskis, vicepresidente esecutivo della Commissione europea, sottolineando la necessità di un accordo sul Next Generation Eu (Recovery Fund, ndr) per la ripresa dell’economia. Anche Paolo Gentiloni, Commissario responsabile per l’Economia, ha ribadito l’importanza di “raggiungere un rapido accordo sul piano di risanamento proposto dalla Commissione” per “iniettare nuova fiducia e nuovi finanziamenti nelle nostre economie in questo momento critico”.
Ma le brutte notizie per l’Italia non si fermano qui. A peggiorare ulteriormente il quadro, nel suo nuovo Employment Outlook, l’Ocse definisce l’Italia come “uno dei paesi Ocse più colpiti dalle ricadute economiche del Covid-19” con una disoccupazione che dovrebbe raggiungere un livello record del 12,4% entro la fine del 2020 (9,4% per i paesi Ocse). “Se la pandemia sarà tenuta sotto controllo – precisa l’organizzazione – la disoccupazione dovrebbe, poi, scendere gradualmente all’11% entro la fine del 2021, comunque ben al di sopra del livello pre-crisi”. Tuttavia, prosegue l’Ocse, in caso di una seconda ondata pandemica a ottobre/novembre, il tasso di disoccupazione in Italia sarebbe ancora all’11,5% alla fine del 2021, vicino al picco registrato durante la crisi del 2008 e due punti percentuali più elevato rispetto a quello di fine 2019.
Altra nota dolente, la fotografia scattata dall’Istat nella sua consueta nota mensile. Secondo un’indagine condotta dall’istituto sulle imprese italiane, oltre un’azienda su 3 rischia la chiusura per effetto della crisi scatenata dal covid. Il pericolo di chiudere l’attività risulta più elevato tra le micro imprese (40,6%) e le piccole (33,5%) ma comunque significativo per le medie (22,4%) e le grandi imprese (18,8%). Tuttavia, dopo le marcate contrazioni registrate a marzo e aprile, l’istituito intravede i primi segnali di ripresa dei ritmi produttivi, catturati dagli indicatori congiunturali italiani di maggio. “A maggio, rispetto ad aprile, sono aumentate le esportazioni extra-Ue mentre a giugno il miglioramento della fiducia appare generalizzato tra i settori economici” evidenzia l’Istat.