ROSSO IMPERO Porfido egiziano dall’antico al Barocco, la nuova mostra della Fondazione Paolo e Carolina Zani
Quante volte si pensa a come valorizzare una collezione privata? Spesso il timore è quello di tenere “parcheggiati” i propri beni di lusso, senza che questi possano godere di nuova vita. Esistono però casi di iniziative virtuose, capaci anche di innescare sinergie fra fondazioni. È quanto sta succedendo a Cellatica, in provincia di Brescia, presso la Fondazione Paolo e Carolina Zani, grazie a una mostra che ha coinvolto anche la Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli Onlus e la Fondazione Roberto Capucci.
Roberto Capucci, Fuoco, dettaglio
La titolazione dice tutto: ROSSO IMPERO Porfido egiziano dall’antico al Barocco è un’esposizione che fa del colore scarlatto il suo comune denominatore. In corso dal 26 gennaio al 5 maggio 2024, è stata ideata da Massimiliano Capella, direttore della fondazione. A popolare le sale, una rara selezione di busti, ritratti e sculture in porfido rosso egiziano (creati fra il III e il XVIII secolo) proveniente dalla Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli Onlus di Roma.
Le opere di matrice barocca sono frutto della trasformazione di frammenti porfirei di colonne ed elementi architettonici romani; nell’esposizione sono alternate a vasi, anfore e bruciaprofumi del medesimo materiale, parte della collezione permanente di Casa Museo Zani. Le opere e i manufatti esposti offrono un’esplorazione dell’evoluzione dell’arte porfirea attraverso i secoli.
Storia del porfido rosso come materiale per i beni di lusso
Difficile da lavorare, il porfido rosso egiziano era in uso presso la corte di Cleopatra VII nell’Egitto ellenistico. Con dall’avvento al potere di Diocleziano, il suo utilizzo divenne di esclusiva pertinenza imperiale, assurgendo a simbolo di regalità divina. Alcuni esempi della produzione che nel tempo seguì sono il Busto loricato giovanile e la Piccola testa virile, entrambe prestito della Fondazione Santarelli.
Busto loricato
Il primo è un torso in porfido egizio con innestata una testa-ritratto in marmo pentelico; la seconda deriva verosimilmente dal rilievo di un sarcofago.
In epoca medievale l’utilizzo limitato del porfido rosso è motivato dalla rarità del materiale dovuta all’abbandono delle cave egiziane dal V secolo d.C. Fu poi nella Firenze medicea degli inizi del Cinquecento, che tornò in auge la lavorazione di questa roccia.
Piccola testa virile
Nella Roma barocca il porfido rosso conobbe crescente successo. Dalla Francia di Luigi XIV, Richelieu e Mazzarino fioccavano le committenze. Esempio di questa produzione è la Coppia di vasi baccellati, con presa del coperchio a forma di ghianda (collezione permanente Zani). Nella produzione di vasi, giare e anfore, così come nei ritratti di Fauni e Satiri, la scelta d’impiegare la pietra rossa poteva riferirsi al vino dei banchetti dionisiaci.
Al Settecento risale la pratica di ornare gli oggetti in porfido con montature in bronzo dorato, come il mortaio con pestello della Fondazione Santarelli.
Negli ultimi decenni del XVIII secolo, attraversati dalla corrente neoclassica e dal relativo gusto per il ritorno all’antico, anche i vasi in porfido assunsero fattezze classicheggianti, ispirate a ritrovamenti dei coevi scavi condotti nelle aree di Roma e Napoli. A questa categoria è ascrivibile l’Anfora con coperchio dal corpo ovoidale di Casa Museo Zani.
Contestualmente fece il suo ingresso nel panorama delle arti decorative europee il “porfido rosso svedese”, caratterizzato da tonalità più brune rispetto a quello egizio e proveniente verosimilmente dalle cave di Alvdalen, nella contea di Dalarna (o Dalecarlia) in Svezia. Le miniere svedesi erano note già nel XVII, tuttavia il lavoro di estrazione e manifattura su ampia scala prese avvio solo dalla fine del XVIII secolo per volontà del re Gustavo III. Di questa particolare nicchia di produzione la mostra espone la Coppia di scatole portaburro di Casa Zani.
Coppia di scatole portaburro
ROSSO MODA Roberto Capucci tra fuoco e cinabro
Queste opere in materiale duro sono intermezzate da autentiche opere d’arte in seta: abiti-scultura del maestro Roberto Capucci, provenienti dall’omonima fondazione. La sotto-mostra del grande sarto è stata battezzata ROSSO MODA Roberto Capucci tra fuoco e cinabro.
Roberto Capucci, Cinabro
Il tessuto delle creazioni è la seta, nelle lussuose lavorazioni taffettà e mikado. Di tonalità cangiante o trasformato dalla luce e dalle plissettature, il rosso degli abiti-scultura di Capucci innesta un raffronto dialogante con le forme e le volumetrie del porfido rosso screziato di bianco. La creazione che dà il là alla mostra, nella sala intitolata a Canaletto, è Nove Gonne (1956), uno degli abiti più rappresentativi del XX secolo ed emblema della prima fase della carriera di Capucci, dal debutto fiorentino ai trionfi internazionali.
Roberto Capucci, Nove gonne
È una scultura in taffetà, caratterizzata da nove elementi sovrapposti sulla gonna, un’opera che lega Roberto a Capucci a due dive del cinema hollywoodiano: Marilyn Monroe ed Esther Williams. Per quanto riguarda Marilyn, Capucci può vantare di essere stato il primo designer europeo chiamato a vestire la diva, che fino al 1956 si era affidata esclusivamente a stilisti americani. Indossato da una Marilyn in versione fumetto, l’abito apparì in una striscia del The Dallas Morning News. Esther Williams acquistò l’abito nel 1956.
Chiosa il novantatreenne Roberto Capucci: «La moda non è ornamento, è architettura.
Non basta che un vestito sia bello, dev’essere costruito come un palazzo poiché come un palazzo esso è la materializzazione di un’idea».
Roberto Capucci
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