La triste e lugubre fama evocata dalla sigla SS a decorrere dalla fine della seconda guerra mondiale, costrinse, in campo automobilistico, la fabbrica SS Cars Ltd., nata come Swallow (ossia rondine) Sidecar Company, a inventarsi una nuova denominazione. Ciò per non correre il rischio di richiamare con le proprie auto la milizia speciale tedesca, la famigerata Schutz-Staffen, che aveva supportato il partito nazista in maniera criminale. La Swallow Sidecar Company venne fondata nel 1922 da William Lions e da William Walmsley per la costruzione di sidecar, come dice il nome, ottenendo un immediato successo. Dal 1930 la casa si dedicò alla produzione automobilistica, grazie alle riuscitissime carrozzerie disegnate da Lions, dal 1934 rimasto solo alla guida dell’azienda. Particolarmente apprezzata fu la serie sportiva SS 100, coupé o spider, alla cui sigla Lions volle affiancare la parola “Jaguar”, un po’ giocando sulla suggestione felina del proprio cognome e un po’ sottolineando l’aggressività della serie 100, meglio rappresentata dall’immagine del giaguaro piuttosto che dalla rondine originaria. Fu del tutto naturale quindi, allorché si ritenne di eliminare definitivamente l’acronimo SS, sostituire tout court il nome Jaguar al precedente, nome che aveva già acquisto una certa notorietà e autorevolezza.
La storia della Jaguar XK
Per riaffacciarsi al pubblico automobilistico a guerra finita, la Jaguar predispose e realizzò un nuovo motore 6 cilindri, denominato XK6, di 3,4 litri e 160 cv, con testata in lega leggera e doppio albero a camme. Era pensato per una nuova berlina non ancora disponibile, ma la Casa intendeva presentarlo comunque al pubblico, con finalità promozionali e di immagine. Si pensò quindi di predisporre in fretta e furia una piccola sportiva scoperta, accorciando ed adattando il telaio della Mark V allora in listino, per un’eventuale produzione artigianale di poche centinaia di pezzi. Ciò avrebbe consentito da un lato di sopperire alla carenza di acciaio che affliggeva l’industria britannica in quel periodo post-bellico (costruendo quindi la vettura a mano in alluminio e legno), dall’altro di esportare oltreoceano tali vetture di tipologia in quegli anni richiestissima, usufruendo, peraltro, degli incentivi statali conseguenti all’importazione di valuta pregiata. Il 27 ottobre 1948 esordì quindi al Salone di Londra la Jaguar XK 120, dove la sigla XK contraddistingueva il motore 6C, mentre il numero 120 indicava in miglia la velocità massima che la vettura era in grado di raggiungere, velocità che in quel momento la poneva al vertice della produzione automobilistica mondiale. La vettura fece scalpore. Sprigionava un ineguagliabile fascino tutto inglese, proponendo una linea classica e allo stesso tempo innovativa.
Si trattava di una roadster bassa, sinuosa, slanciata ed elegante, aveva un interminabile cofano anteriore, grandi parafanghi pronunciati e arrotondati, finiture accuratissime e di alta qualità. Esprimeva magia, grande classe e personalità, rinunciando ad ogni ridondanza e ostentazione. Aveva, ad esempio, paraurti minuscoli ed essenziali e nessuna maniglia alle portiere, così da non interrompere la dinamicità e la fluidità della fiancata, la cui continuità veniva addirittura accentuata dagli spats rimovibili che coprivano le ruote posteriori.
Poteva persino essere privata del parabrezza per sostituirlo con piccoli vetrini singoli, i cosiddetti aeroscreen, e non furono poche le vetture che vennero così allestite. Questa silhouette voluttuosa e, in linea col marchio, elegantemente felina, veniva altresí con fermata dalla ricercatezza degli interni e dalle gratificanti sensazioni di guida. Morbide e preziose pelli su cruscotto e poltrone (solo due, trattandosi della roadster definita “OTS”, cioè Open Two Seater), soffice moquette, confortevoli sospensioni, nonché eccezionale maneggevolezza ed elasticità, grande equilibrio e buona tenuta di strada. E appunto come un felino la XK era sempre pronta a graffiare: con una progressione entusiasmante era in grado di offrire prestazioni di livello sorprendente, passando in un batter d’occhio dal suo tipico silenzioso aplomb a un ruggito pieno, potente e ammaliante.
Questa linea è uno dei capolavori di Sir Lions: del tutto personale, nonostante si ispiri a icone dello stile quali BMW 328 o Bugatti Atlantique, riuscì ad imporsi in maniera decisa, smarcandosi, per di più, dalle più moderne tendenze stilistiche italiane e americane del momento e contribuendo così a costruire la raffinata identità del marchio Jaguar. La XK 120 non ci mise molto a confermare su strada l’impressione suscitata al momento del lancio. Si susseguirono da subito varie vittorie sportive in tutto il mondo (Silverstone, Tourist Trophy, Pebble Beach), oltre a diversi record dimostrativi, durante i quali vetture di serie superavano agevolmente e mantenevano con regolarità i 200 Km orari. Le notevoli capacità del motore XK vennero ulteriormente sfruttate dalla C-Type, sportiva da competizione, con la quale Jaguar si aggiudicò tra l’altro cinque 24 Ore di Le Mans. L’imprevisto successo immediato raggiunto dalla XK 120 aveva imposto alla Jaguar l’approntamento in tempi record di una struttura industriale per far fronte agli ordini ricevuti.
Dopo quasi 250 esemplari in alluminio costruiti a mano in tempi necessariamente lunghi, si passò alla carrozzeria in acciaio, eliminando anche gli elementi in frassino del telaio. Vennero lanciate anche una cabriolet (DHC) ed una coupé (FHC), entrambe con finiture più ricercate, meno essenziali e finestrini discendenti. Nelle tre configurazioni, la XK 120 fu prodotta fino al 1954 in oltre dodicimila esemplari. Dal 1954 la 120 fu sostituita dalla XK 140, migliorata nei freni, nello sterzo e nelle sospensioni, più spaziosa e più potente. Dopo quasi novemila esemplari e a seguito di un devastante incendio che distrusse gli stampi delle vetture, la 140 fu rimpiazzata dalla XK 150, ulteriormente ammodernata, anche se certi affinamenti del profilo, come lo snellimento dei parafanghi e l’innalzamento della linea di cintura, compromettevano un po’ la flessuosa eleganza delle versioni precedenti. Solo nel 1961 e dopo ottomila XK 150 prodotte, terminò l’epopea delle XK, che ebbero altresì il merito di preparare il terreno ideale per il successo della loro leggendaria sostituta, la E-Type.
Jaguar XK, tra le più ambite dal jet set internazionale
Le XK restano comunque vetture ricche di stile e fascino, in grado di offrire prestazioni entusiasmanti con grande comfort e piacere di guida, tanto da trovarsi a loro agio sia nelle passeggiate in souplesse nei lunghi boulevards californiani, sia nelle gare su pista, nelle quali sanno tirar fuori gli artigli con la massima naturalezza. Auto così non potevano che essere tra le più ambite dal jet set internazionale. Clark Gable ne ha avute almeno due, delle quali una utilizzata in tutta Europa per più di un anno. E poi Anita Ekberg, Humphrey Bogart, Robert Montgomery, Elizabeth Taylor, Tyrone Power, Ingrid Bergman, Errol Flynn, Lauren Bacall, Phill Hill e così via. Una passione talmente sentita da spingere Elton John a possederne più di venti, di diversi colori, per guidarne sempre una in tinta con gli abiti indossati.
Il mercato secondario
Difficile, se non impossibile, trovare ottime XK a cifre inferiori a 100mila euro ed anzi è frequente che le quotazioni, specie per le OTS o per le versioni sportive “S”, superino i 200mila. Fanno storia a sé le pochissime XK 120 tutte in alluminio, ante 1950, che raggiungono valutazioni vicine anche al mezzo milione di euro, o le vetture con una storia particolarmente intrigante. È il caso della XK 120 del ‘52 appartenuta a Clark Gable, quella del citato viaggio in Europa, che è tornata nel 2023 a Villa d’Este, proprio dove soggiornò per tre settimane col proprietario e la sua fidanzata, per essere venduta in un’asta di grande richiamo a poco meno di 400mila euro.
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