Dalle umili origini alla ribalta: l’ascesa del tenore Enrico Caruso
Enrico Caruso nacque il 25 febbraio 1873 a Napoli da famiglia umile, padre operaio e madre aiutante domestica. A dieci anni, mentre già lavorava con il padre in fonderia, venne iscritto dalla lungimirante madre a una scuola serale dove fu introdotto all’arte e soprattutto al disegno: subito Enrico dimostrò capacità notevoli, con una buona predisposizione allo studio e al perfezionamento della propria tecnica.
Lo svilupparsi di una brillante voce da contralto e di una particolare capacità canora gli fecero ottenere lavoretti saltuari come esibizioni in piccoli spettacoli teatrali, nel coro di chiese, in feste e funerali.
Proprio durante un funerale venne notato dal baritono Saverio Mercadante che entusiasta lo presentò al maestro Guglielmo Vergine, il quale accettò di affinare e perfezionare le capacità canore del ragazzo.
Enrico iniziò a frequentare molti artisti della “belle époque partenopea” nei più noti caffè della Napoli di fine secolo, dove ebbe occasione di incontrare l’agente teatrale Francesco Zucchi che gli procurò una scrittura presso il teatro Cimarosa di Caserta. Da lì iniziò, grazie anche alla spinta di Zucchi, la folgorante carriera di Enrico Caruso, prima richiesto nei maggiori teatri campani, poi in quelli italiani, successivamente in quelli europei. Oltre che eccezionale professionista Enrico fu un grande imprenditore di se stesso: il suo compenso passò in sei anni, dal 1895 al 1901, da 20 a 3.000 lire per rappresentazione, una cifra allora esorbitante.
Inoltre, con la recente invenzione e perfezionamento dei grammofoni fu il primo cantante a capirne la straordinaria importanza mediatica, incidendo dieci dischi con arie d’opera per una casa discografica inglese.
L’arrivo in America
Così, presto la voce di Enrico sbarcò oltre oceano e la firma di un contratto con il Metropolitan Theatre di New York consacrò definitivamente la carriera di Caruso alla storia: l’arrivo del tenore in America fece subito notizia, ne parlarono i maggiori giornali americani ed europei e il suo debutto nel 1903 con il Rigoletto ebbe un successo enorme, facendo registrare al Metropolitan la più alta affluenza di pubblico mai raggiunta fino a quel momento.
Ovunque si esibì su territorio americano, Enrico Caruso ottenne un successo senza precedenti: inoltre, con l’aria Vesti la giubba dell’opera Pagliacci, incisa dalla casa discografica Victor in New Jersey, fu il primo cantante al mondo a vendere più di un milione di dischi.
Enrico Caruso, il tenore collezionista di monete e bellezze
La grande passione per l’arte, la cultura, i viaggi e le ingenti disponibilità economiche, fecero di Enrico Caruso un grandissimo collezionista di quadri, oggetti e maioliche del Rinascimento e di monete, dalle più antiche greche e romane, alle più moderne, con una sola caratteristica comune, quella di essere in oro.
Poco si sa del Caruso numismatico: egli riservò il poco tempo libero che la sua carriera e i suoi lunghi viaggi gli lasciavano all’amore per le monete antiche, ricercandone sul mercato i pezzi più belli e rari in modo silenzioso e discreto. Pochi erano i fortunati commercianti che potevano vantare di averlo come prestigioso cliente; soprattutto a Parigi i più importanti numismatici mettevano da parte per il tenore i pezzi migliori in oro reperiti sul mercato, attendendo speranzosi di vederlo apparire sulla soglia dei propri negozi. Riuscì negli anni a costruire una collezione imponente, di circa 2.000 esemplari tra monete e medaglie, anche grazie all’acquisto da aste prestigiose come quella della Collezione Montagu di monete imperiali in oro, effettuata a Parigi nel 1896, o quella della Collezione Gnecchi venduta a Francoforte nel 1902-1903 per le monete medioevali.
Purtroppo, sappiamo che le complicazioni derivate da una pleurite mal curata spensero prematuramente la voce più famosa di tutti i tempi: nel 1921, Caruso morì a soli 48 anni mentre era di passaggio nella sua Napoli, in viaggio da Sorrento a Roma, dove i medici speravano di tentare le ultime disperate cure.
Due anni dopo, nel giugno 1923, la Casa d’Aste Canessa effettuò, sempre a Napoli, la celebre vendita della collezione numismatica di Enrico Caruso. Poco tempo prima, un’asta tenutasi a New York presso l’American Art Galleries, aveva già venduto una notevole serie di oggetti artistici da lui raccolti, oltre a circa trecento monete antiche e moderne di interesse americano: all’inizio della vendita, su invito di uno degli acquirenti presenti, fu osservata una breve pausa di raccoglimento generale e preghiera in onore del tenore scomparso, fatto mai accaduto in precedenza.
Enrico Caruso numismatico, un’analisi della sua collezione di monete
Proviamo, dopo esattamente un secolo, a fare una breve analisi della collezione.
Monetazione di area greca
La serie greca italica, influenzata dalla ricerca circoscritta dal tenore alla sola monetazione aurea, rara nella nostra Penisola, si limita a sole 26 monete (Etruria, Calabria, Bruttium e Sicilia) di cui ben 10 esemplari di qualità FDC come dichiarato dal compilatore del catalogo. Di questa prima parte spiccano una rarissima dracma di Bruttium (seconda guerra Punica 221-201 a. C.) con la testa di Poseidon a s. e al rovescio Teti o Amphitrite seduta a s., su un ippocampo, mentre tiene sulle ginocchia Eros che scaglia una freccia e aggiudicata a ben 1.550 lire (lotto n. 6).
A questa si aggiunge un 100 litre di Siracusa (circa 405-400 a. C.) con la testa di Arethusa a s. e al rovescio Ercole in lotta con il leone a d., venduto, anche se meno raro, a ben 2.100 lire (lotto n. 11).
Più cospicua la parte dedicata al continente greco con ben 30 monete di area macedone (Filippo II, Alessandro il Grande e Filippo III Arrideo) e una decina di monete tra le province del Danubio, Tracia ed Eubea, la maggior parte della qualità più elevata.
Seguono una sessantina di altre monete, tra Asia Minore, Egitto, Cirenaica e Zeugitania.
Qui troviamo il “top lot” dell’asta, un estremamente raro multiplo in oro da 42 grammi di Tolomeo III Euergetes (246-221 a. C.), coniato ad Alessandria d’Egitto in nome di Berenice, aggiudicato alla cifra sensazionale per l’epoca di lire 50.000 (lotto n. 99).
Facendo un rapido raffronto, la cifra equivaleva a 500 esemplari da 100 lire in oro del Fascio, coniato esattamente nello stesso anno dell’asta. Considerando il peso del 100 lire di 35 grammi di oro a titolo 900, possiamo dire che la moneta fu venduta al corrispettivo di 15,75 chilogrammi di oro. Se vogliamo spingerci a un forzato e forse non proprio coerente confronto con i valori dell’oro di oggi, possiamo dire che il fortunato e straordinariamente ricco acquirente sborsò la cifra di circa 865.000 euro più diritti, che allora ammontavano al 10% (grazie anche a una tassazione ben più bassa di oggi). Questa iperbolica cifra, oltre alle altre grandi aggiudicazioni dell’asta, ci deve far riflettere su quanto fosse forte il collezionismo dell’epoca, che soprattutto in Italia era spinto e promosso dallo stesso Re Numismatico.
Monetazione romana
Nella collezione Caruso la parte romana gode sicuramente di uno spazio ben più consistente di quella greca, con ben 502 monete di larga maggioranza di epoca imperiale. Più limitata risulta essere la sezione repubblicana, rappresentata da solo una ventina di esemplari del periodo consolare e preimperiale (romano campane e famiglie Antonia, Barbatia, Cestia Hirtia, Planctia, Petronia, Servilia, Vibia, Voconia), con aurei di Giulio Cesare, Cassio, Marco Antonio, Ottaviano. Proprio dalla parte repubblicana proviene tuttavia la più alta aggiudicazione di tutta la serie romana: un aureo della famiglia Voconia (Titus Voconius Vitulus) con il ritratto di Ottaviano e al rovescio il vitello in cammino a s. è stato venduto, anche se non di grande qualità, a 11.000 lire (lotto n. 144).
Nella parte imperiale l’iconografia romana è eccezionalmente ben rappresentata con gli aurei di quasi tutti imperatori e relative Auguste: Caruso scelse molti tra gli esemplari migliori del mercato della sua epoca, dando sempre importanza sia alla conservazione che alla qualità dei ritratti. Solo per fare qualche esempio possiamo elencare un aureo di Adriano con un vigoroso busto dell’imperatore a s. e al rovescio la figura femminile dell’Africa, con copricapo a testa di elefante, che accoglie Adriano in visita nei possedimenti sud imperiali: in conservazione FDC, questo pezzo fu aggiudicato a 1.450 lire (lotto n. 298).
Altra aggiudicazione di rilievo fu quella di un aureo di Diadumeniano “della più grande rarità”, in conservazione FDC con al rovescio l’imperatore in mezzo a stendardi, aggiudicato a 8.500 lire (lotto n. 463).
Non vanno inoltre dimenticati un medaglione di Valente, del peso di 20,07 grammi, raffigurante al rovescio Roma seduta su trono, indicato come “della più grande rarità” e facente parte, insieme a un medaglione e un fantastico solido di Costantino I con quadriga frontale al rovescio (lotti nn. 566 e 598), della nutrita serie di acquisizioni del Regno d’Italia per il Museo di Roma.
Monetazione bizantina e di epoca medioevale e moderna
L’Impero Romano d’Oriente è rappresentato da poco meno di un centinaio di solidi da Arcadio a Giovanni II Comneno.
La cultura e lo spirito internazionale di Caruso si percepiscono nella scelta degli esemplari delle monetazioni medioevali e moderne, dove, delle oltre 700 monete e medaglie in oro da lui collezionate di queste epoche, l’area europea ed extra continentale ne occupano circa la metà.
La parte italiana è elencata dal compilatore del catalogo in forma già piuttosto moderna, non in ordine di CNI, come solitamente preferivano i redattori delle case d’asta dell’epoca, ma in ordine alfabetico di città. Le monete papali sono inserite all’interno delle stesse, con solo eccezione delle relative medaglie che sono elencate a parte (da Paolo V a Pio X).
Il buon gusto del tenore risulta evidente anche in questa parte: un bel gruppo di augustali, di stili differenti, un rarissimo mezzo augustale aggiudicato a 1.250 lire (lotto n. 756), di finissimo stile, un prestigioso reale brindisino di Carlo I d’Angiò aggiudicato a 2.050 lire (lotto n. 757).
Ducati e doppi ducati delle Signorie italiane si presentano dando al gaudente lettore del catalogo un grande piacere estetico e culturale; si susseguono in ordine le zecche italiane di Amalfi, Antegnate, Avignone, Benevento, Bologna, Brindisi, Camerino, Correggio, Desana, Ferrara, Firenze, Genova, Livorno, Macerata, Mantova, Massa di Lunigiana, Messina, Milano, Mirandola, Modena, Napoli, Palermo, Parma, Piacenza, Piombino, Reggio Emilia, Retegno, Roma, Salerno, Savoia, Siena, Torino, Urbino e Venezia: lascio alla fervida immaginazione degli appassionati numismatici l’idilliaca visione di una sfilata di monete d’oro di queste zecche.
Quelle che hanno attirato più la mia attenzione per la loro rarità o qualità sono un eccezionale doppio ducato (o doppio trionfo) di Carlo V per Messina, dichiarato dal compilatore come FDC, “secondo esemplare conosciuto” con richiamo alla precedente vendita Ratto del 1898, collezione Giancarlo Rossi, aggiudicato a 1.700 lire (lotto n. 829) e un meno raro, ma sempre per me meraviglioso, doppio scudo d’oro di Carlo V per Milano, magnifica realizzazione di Leone Leoni, venduto a ben 3.000 lire (lotto n. 840) e conservato oggi al Museo Civico di Torino.
Nella collezione non mancavano i grandi moduli tra cui uno spettacolare multiplo da 10 zecchini di Antonio Teodoro Trivulzio venduto a ben 10.100 lire (lotto n. 906) e diversi multipli di Venezia tra cui uno da 12 zecchini con S. Giustina di Alvise IV Mocenigo.
Interessante notare come i multipli veneziani fossero allora poco apprezzati dato che il 12 zecchini fu aggiudicato a “solo” 1.100 lire (lotto n. 1040) esattamente come gli altri da 10 zecchini di Francesco Loredan e Ludovico Manin.
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Il testo è un estratto dell’articolo pubblicato nell’opera per i 30 anni dell’associazione Numismatici Italiani Professionisti. Tutte le foto sono cortesia di Crippa Numismatica.