In una situazione di crisi coniugale, che può portare ad una causa di separazione o al divorzio, è importante individuare il luogo di residenza abituale per capire dove verrà decisa la causa
Il coniuge, anche se divide la propria vita tra due Stati membri, può avere una sola residenza abituale
Sono perciò gli interessi, in definitiva, che collegano l’individuo al luogo e che, conseguentemente, elevano detto luogo a residenza abituale.
Ad esempio, indizi o fattori che possono rivelare il collegamento fondamentale tra la persona e il luogo possono essere: il posto in cui si trovano familiari e amici; la circostanza che l’individuo abita regolarmente in tale luogo con un contratto di locazione; il fatto che il soggetto è proprietario di un’abitazione, o ha intrapreso azioni affinché ciò avvenga; il fatto che è titolare di utenze telefoniche; il fatto che in tale luogo ha lavoro o cerca un lavoro.
Ebbene, quando si tratta di cause di separazione o di divorzio che involgono soggetti, coniugi in crisi, che vivono a cavallo di più Stati o hanno i propri interessi in più Paesi, è di primaria importanza individuare la residenza abituale.
È a partire da questo fattore, infatti, che sarà possibile individuare il giudice competente a decidere sul divorzio o sulla separazione. Dunque, è a partire dal fattore determinante della residenza abituale, che la causa di separazione o divorzio e tutte le questioni di natura patrimoniale che ne derivano, può essere attribuita ad un giudice di uno Stato membro piuttosto che al giudice di un altro Stato.
Ciò considerato, qualora un coniuge divide la propria vita tra due o più Stati membri, può venire in rilievo un concorso di residenze abituali. Poiché, però, la residenza abituale è equiparata al centro degli interessi fondamentali dell’individuo, essa deve essere una e una soltanto; non è, infatti, ammessa dal diritto la simultaneità di residenze abituali riconducibili ad un unico soggetto.
Questi i fatti di causa: il signor I, cittadino francese, sposato in Irlanda con la sig.ra F, da cui ha avuto tre figli, ora maggiorenni, nel 2018 depositava domanda di divorzio presso il Tribunale di Parigi.
Depositato il ricorso, il Tribunale per le questioni familiari di Parigi, dichiarava l’incompetenza dei giudici francesi a decidere sulla questione. A sostegno di questa decisione, il Tribunale francese evidenziava che il domicilio del sig. I fosse situato in Irlanda: perché ivi la famiglia si era stabilita nel 1999; perché lì tuttora vivevano i figli; perché l’Irlanda è la nazione in cui la famiglia in precedenza aveva acquistato un immobile che costituiva il domicilio coniugale. Perché, infine, il sig. I si recava ogni fine settimana in Irlanda per trovare i figli e praticare attività sportive e ricreative.
Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di primo grado francese, il sig. I, impugnando l’ordinanza dinanzi alla Cour d’appel de Paris, sosteneva che fosse, invece, in Francia (e non in Irlanda) il suo unico luogo di residenza nonché il suo centro stabile, permanente e abituale di interessi.
E invero, ad avviso della Corte d’appello di Parigi, le affermazioni del sig. I risultavano fondate ma solo in parte.
In effetti, il ricorrente, ad avviso del giudice di secondo grado, risultava avere due residenze stabili: una in Francia dove trascorreva la maggior parte del tempo per lavoro e una in Irlanda ove si recava regolarmente per esigenze personali e familiari.
In buona sostanza, la Corte d’appello riteneva che il ricorrente avesse due residenze dalle identiche caratteristiche di stabilità e abitualità: una in Francia e una in Irlanda. Ma, poiché questa circostanza non è ammessa dal diritto, la Corte d’appello sottoponeva in via pregiudiziale la questione alla Corte di Giustizia europea.
Ad avviso della Corte di giustizia è la durata, la regolarità o la continuità di una presenza fisica, che normalmente caratterizzano la «residenza abituale». Per tale ragione, ai fini della determinazione della competenza, la nozione di residenza abituale deve essere caratterizzata da almeno due elementi: da un lato, la volontà dell’interessato di fissare il centro abituale dei suoi interessi in un determinato luogo e, dall’altro, la presenza sufficientemente stabile in uno specifico Stato membro.
Pertanto, ritiene la Corte, il coniuge che vuole incardinare in uno specifico Stato, nel caso di giudizio in Francia, il giudizio di separazione, deve dimostrare, secondo i predetti fattori, la sua presenza stabile in quello stesso Stato.
Una simile statuizione apre le porte anche per riflessioni di natura più propriamente fiscale.
La Corte di Cassazione, a più riprese, infatti, ha chiarito che, per accertare la residenza fiscale in Italia di una persona fisica trasferita in un altro Stato membro, occorre verificare se la persona abbia mantenuto in Italia il proprio domicilio, o ivi svolga prevalentemente i propri affari e interessi vitali; per la maggior parte del periodo di imposta
Pertanto, non è sufficiente, per dimostrare il trasferimento di residenza fiscale, soltanto aver trasferito in altro Stato la dimora. Il fisco, infatti, opera delle presunzioni di residenza in Italia del contribuente (anche quando trasferito all’estero) al ricorrere di alcuni fattori e indizi.
In primo luogo, occorre ricordare che l’art. 2 del TUIR individua i criteri per l’individuazione della residenza fiscale in Italia.
Detti criteri sono tra loro alternativi, di modo che anche la presenza di uno solo di questi è sufficiente a consolidare, dal punto di vista fiscale, la residenza in Italia: si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente; che hanno nel territorio dello Stato il domicilio; che hanno in Italia la residenza.
Inoltre, si considerano in via presuntiva (dunque salvo prova contraria da parte del contribuente) residenti anche i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi.
In buona sostanza, dal punto di vista fiscale, la mera e sola cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente non è sufficiente a escludere la residenza in Italia.