Un letto disfatto, lenzuola disordinate, bottiglie di vodka vuote, vestiti appallottolati e kleenex stropicciati, segno di molte lacrime versate. Mozziconi di sigaretta, pillole anticoncezionali e preservativi. Polaroid sparse e disordine ovunque, un terribile disordine.
Non bisogna essere donna per soffrire per amore, per trascorrere quattro giorni nel letto, mangiando, dormendo, fumando e cercando di dimenticare un amore finito. Ma Tracey Emin ha avuto la straordinaria sensibilità di saper descrivere il dolore, la solitudine e il peso di quel momento nel letto più famoso dell’arte contemporanea, “My Bed”.
Tracey Emin. My Bed, 1998, Mixed Media
A prima vista, l’installazione urta e suscita fastidio, ma soffermandosi sui singoli elementi si ricostruisce la storia che l’artista vuole raccontare, si entra nella sua intimità e nel suo dolore. Realizzata nel 1998, l’installazione (selezionata quell’anno tra i finalisti del Turner Prize), fu comprata nel 2000 dal pubblicitario e collezionista Charles Saatchi che la mise in sala da pranzo. Rivenduta nel 2014 da Christie’s per più di $4 milioni ad un collezionista tedesco, Christian Duerckeim, è ora in prestito alla Tate Britain e divide la sala con Francis Bacon.
Tracey Emin non è solo “il suo letto”, è un’artista tecnicamente molto preparata e il suo lavoro include quasi tutte le forme dell’espressione artistica: il
disegno, la
pittura, la
scultura, la
fotografia, il
ricamo e i
neon. Basta spostarsi di poco nel centro di Londra per trovare una delle sue opere più poetiche e struggenti, “I Want My Time With You”. Il neon, realizzato nel 2018 per la Stazione Internazionale di St Pancreas, misura circa 20 metri ed è posto sotto al grande orologio al fondo dei binari. Scritto a mano, in corsivo, evoca l’intimità e la gioia dell’abbraccio di chi si ritrova dopo un lungo viaggio e accoglie tutti i visitatori che arrivano (arrivavano!) ogni giorno dall’Europa attraverso la Manica.
Tracey Emin, I want my time with you, St Pancreas, London, 2018
Nata nella periferia di Londra e cresciuta in una situazione di povertà e forte disagio, Tracey Emin trova fuga e libertà nell’arte e nel disegno. Parte del gruppo dei
Young British Artist alla fine degli anni ’90, si è distinta sin da giovane per il suo stile fortemente autobiografico, provocatorio, ma sempre sincero anche nella sua crudezza. Nelle sue opere vengono a galla emozioni e sentimenti puri che l’artista non ha paura di esprimere. Speranze e umiliazioni, successi e fallimenti. Un racconto in prima persona senza veli né tabù.
I suoi disegni sono passionali e hanno spesso riferimenti sessuali. La donna è sempre protagonista. Ricordano le atmosfere di Schiele e Munch – con cui dovrebbe condividere una mostra alla Royal Academy di Londra, in maggio 2021, “The Loneliness of the soul”. Linee spezzate e veloci, senza dettagli di volti o particolari, sogni immaginari di figure sole e fragili, quasi astratti.
In una bellissima retrospettiva alla Hayward Gallery nel 2011 (“Love is What you Want”) ho imparato ad amare le sue coperte. Realizzate dal 1993, sono patchwork di stoffa composti da colori armoniosi e lettere soffici. Richiamano il lavoro domestico femminile, l’atmosfera di altri tempi e il ricamo davanti al camino, ma i temi che affrontano sono violenti e disturbanti. Racconti fortemente personali, ironici e provocatori, delicati e brutali, davanti ai quali non si può certamente rimanere indifferenti. La prima, “Hotel International” è una sorta di curriculum vitae, una storia della sua infanzia intitolata come l’hotel che si trovava di fronte alla sua casa.
Tracey Emin, Hotel International, 1993
Tracey Emin ha rappresentato la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia nel 2007 e oggi è academica della Royal Academy of Arts, una delle artiste più note e quotate del nostro tempo. Quello che amo di più del suo lavoro è la capacità di far entrare le parole nell’arte, come parte dell’opera, espressione dei sentimenti più intimi e delle sue emozioni. La sincerità e la purezza con cui mette a nudo se stessa, i suoi traumi e i suoi ricordi. Il suo bisogno d’amore che trapela dietro la provocazione…”io non posso non amare: se non amo muoio”.
Un letto disfatto, lenzuola disordinate, bottiglie di vodka vuote, vestiti appallottolati e kleenex stropicciati, segno di molte lacrime versate. Mozziconi di sigaretta, pillole anticoncezionali e preservativi. Polaroid sparse e disordine ovunque, un terribile disordine.
Non bisogna essere donna pe…