Una vera donna, non per forza una femminista ante litteram. Una straordinaria pittrice di grande temperamento e con un forte spirito combattivo. Artemisia, non era semplicemente la figlia del noto pittore Orazio Gentileschi e neppure solo la giovane protagonista di un’orrenda vicenda di violenza e stupro.
Sono certa che preferirebbe essere menzionata come la prima donna ad essere stata ammessa all’Accademia del disegno di Firenze nel 1616, impegnata a farsi strada in un mondo dominato da uomini, la più importante pittrice del Barocco.
Ci sono mostre che registrano il tutto esaurito, che valgono un viaggio e lunghe attese, ma non sempre ad esporre sono Modigliani, Andy Warhol, o Picasso. La retrospettiva che la National Gallery di Londra dedica ad Artemisia, fino alla fine di gennaio (ahimè ora temporaneamente chiusa), la prima dedicata alla pittrice in Inghilterra, è certamente una di quelle. Probabilmente, per vederla occorrerà attendere il 2022, quando l’esposizione aprirà a Napoli, alle Gallerie d’Italia.
Artemisia Gentileschi, crebbe a Roma nel clima fervente dei primi anni del Seicento. Rimasta orfana di mamma a 12 anni, oltre a prendersi cura dei fratelli minori, affascinata dal talento del padre, iniziò ad imparare a mescolare i pigmenti, a comporre i colori, a preparare le tele ed infine a dipingere.
Fu proprio, un pittore che frequentava la bottega paterna, Agostino Tassi, a violentarla quando aveva diciassette anni. Ne seguì un terribile processo (1612), durato più di sette mesi, di cui ancora esiste l’intera trascrizione. Artemisia (non il Tassi) fu sottoposta alla tortura della “sibilla”, uno strumento che stringeva le dita fino a romperle. Gli atti citano le sue parole…” È vero, è vero, è vero” “Questo è l’anello che mi hai dato e queste sono le tue promesse”.
Simon Vouet, Ritratto di Artemisia Lomi Gentileschi, 1623-1626 – Private collection
Nonostante la sua innocenza, dopo il processo, Artemisia dovette lasciare Roma per trasferirsi a Firenze, cambiando definitivamente il suo destino.
Ottenne la sua rivalsa con l’unico strumento che aveva a disposizione, il pennello. Entrò all’Accademia del disegno e acquisì una tecnica pittorica impeccabile, superando molti dei pittori del suo tempo.
Lei, che al processo era quasi del tutto analfabeta, divenne un’intellettuale, amica di Galileo e del mondo culturale fiorentino. Imparò a suonare il liuto e a scrivere appassionate lettere d’amore al suo amante. Con la volontà e la determinazione, seppe superare ogni difficoltà. Divenne agente di se stessa, lavorando tra Roma, Firenze, Venezia e Napoli per più di 40 anni.
Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne, 1620-21. Firenze, Gallerie degli Uffizi
Chi è stato agli Uffizi e ha visto il dipinto che raffigura Giuditta che decapita Oloferne (1620-21 – a pochi anni dopo il processo), non può essere rimasto indifferente davanti alla forza e all’orrore che tutta la scena emana. Giuditta – che ha il volto di Artemisia – tiene con forza in una mano la spada e con l’altra i capelli del generale assiro. Lo sguardo non lascia trapelare alcuna incertezza. Il sangue schizza sugli abiti e sulle lenzuola bianche, mentre Oloferne si contorce inutilmente.
È la sua vendetta. L’ancella, che perfino nel dipinto di Caravaggio tratto dallo stesso episodio dell’Antico Testamento è poco più che una comparsa che attende la testa mutilata, qui partecipa attivamente alla scena e mi sorprende che nonostante tutto abbia in sé una sorta di grazia. Il suo ruolo dà al dipinto una “implicazione rivoluzionaria”, scrive il critico Jonathan Jones. Se le donne si uniscono, niente le può fermare. Sono una vera forza.
In quegli anni, dalla tavolozza di Artemisia nascono straordinari dipinti, quasi sempre tratti dalla Bibbia o dall’Antico Testamento, in cui eroina è la donna, dipinta con colori e ombre caravaggesche. Oltre Giuditta, Susanna, Maddalena, Cleopatra, Lucrezia, Santa Caterina, Ester e Arianna. Figure coraggiose, forti e passionali (che spesso hanno il volto dell’artista) raccontate con eccellente capacità narrativa e una visione femminile assolutamente inedita.
Artemisia Gentileschi, Autoritratto come Santa Caterina d’Alessandria, 1615–1616 The National Gallery, London
Dei circa 60 dipinti attribuiti all’artista, uno è stato riscoperto solo di recente. Si tratta di un autoritratto come Santa Caterina d’Alessandria, (1615/17), martire cristiana dell’inizio del IV secolo, condannata a morte con il supplizio della ruota. Il dipinto, appartenuto per secoli ad una famiglia francese senza che l’attribuzione fosse nota ai proprietari e sconosciuto agli studiosi, è stato messo in asta dalla casa d’aste francese Drouot nel dicembre del 2017 con una stima di €350.000 e aggiudicato per €1.85milioni, il record per l’artista. Ad acquistarlo, la galleria londinese Robilant+Voena che, in collaborazione con la galleria Moretti, ha successivamente curato la vendita dell’opera alla National Gallery di Londra per £3.6milioni. Dopo sei mesi di restauro, il dipinto è finalmente esposto nella mostra dedicata ad Artemisia. È il ventunesimo quadro dipinto da un’artista donna ad entrare nella collezione del grande museo inglese. Le opere della collezione sono più di 2300.
La pillola del giorno è… Anche in tempi oscuri e in situazioni difficili, il talento, unito alla passione e alla determinazione, riesce a rivelarsi e a mostrare la sua forza.
Artemisia Gentileschi è stata uno dei più grandi pittori del suo tempo.
Una vera donna, non per forza una femminista ante litteram. Una straordinaria pittrice di grande temperamento e con un forte spirito combattivo. Artemisia, non era semplicemente la figlia del noto pittore Orazio Gentileschi e neppure solo la giovane protagonista di un’orrenda vicenda di violenza e s…