Nonostante gli sforzi profusi dalle istituzioni europee, l’Ue rischia di recuperare dalla crisi più lentamente di quanto non stiano facendo altre potenze economiche
Nella settimana in cui la presidente Von der Leyen incontrerà Draghi per approvare il Pnrr italiano, occorre chiedersi quali possano essere le strategie per impostare al meglio la ripartenza
A giugno, la Commissione Ue si accinge ad approvare sette piani nazionali di ripresa e resilienza, tra cui il Pnrr italiano. In forza di ciò, Business-Europe (la principale confederazione europea delle imprese) pubblica un report in cui raccoglie il punto di vista delle imprese europee sull’efficacia delle normative adottate per sostenere il settore produttivo, fornendo ai governi, altresì, raccomandazioni utili per guidare la ripresa nel medio-lungo termine.
Come si apprende dal documento
Reform barometer 2021, recentemente pubblicato da Business-Europe, è concreto il rischio che, a causa degli effetti negativi della pandemia, l’Europa e le
imprese europee possano rimanere indietro rispetto ai maggiori
competitor economici. In effetti, nonostante l’Ue per reagire alla crisi abbia introdotto strumenti ambiziosi (basti in proposito fare menzione del programma
Next generation Eu, che mira a raccogliere sui mercati
750 miliardi di euro), l’impatto che l’emergenza in corso ha avuto sull’economia dell’Unione si è rivelato più severo di quanto registrato in altre grandi economie.
L’Ue, infatti, stando ai resoconti offerti da Business-Europe, ha subito un crollo generalizzato e profondo dell’economia (pari al 6,3% nel 2020), che sembra destinato a perdurare più a lungo di quanto previsto in altre aree economiche; come quelle degli Usa o della Cina.
Come emerge dalle indagini condotte dalla Commissione europea, la circostanza che si siano ridotte le
esportazioni (che in Ue nel 2020 hanno subito un calo pari al 9%), come pure, a livello interno, siano diminuiti gli scambi intra-Ue (ridotti del 24% nel 2020), ha certamente inciso sulla velocità della ripresa e, conseguentemente, sul benessere delle imprese. Infatti, più del
60% delle Pmi ha registrato un
calo di fatturato nel 2020, e oltre il
45% delle imprese prevede una rilevante
riduzione degli investimenti nel 2021.
Per tale ragione, avverte Business-Europe, affinché lo sforzo profuso dalle istituzioni europee per sostenere i settori produttivi e il sottostante tessuto sociale degli Stati membri non sia vano, è necessario che i governi nazionali utilizzino al meglio i fondi e i sussidi a loro destinati.
In particolare, la maggior parte delle realtà produttive europee pone l’accento sul fatto che, per stimolare la crescita, la produzione e, nel medio termine, aumentare la capacità competitiva delle imprese europee, occorre mantenere attive le misure introdotte a sostegno delle imprese, così come quelle destinate a garantire l’occupazione dei lavoratori.
Inoltre, per recuperare terreno nel
lungo termine, occorre tratteggiare una strategia di crescita che preveda un più stretto coinvolgimento delle parti sociali durante l’attuazione delle riforme nazionali e che, altresì, introduca
previsioni normative idonee, da un lato, a facilitare gli scambi all’interno del mercato unico e, dall’altro, ad agevolare il
percorso di transizione verde e tecnologica dell’industria.
Con riferimento al primo punto, come sostenuto dalla stessa Commissione europea, sarà necessario investire sui partenariati internazionali diversificati e sulle alleanze industriali. Queste ultime, in particolare, contribuiscono ad attrarre investitori privati e possono rivelarsi ottimi strumenti per creare occupazione e dare vita a nuovi modelli di business che, altrimenti, non si svilupperebbero.
Con riferimento al processo di transizione verso un’economia e un’ industria verde e digitale, gli Stati membri si sono però già messi a lavorare. Vale la pena, al riguardo, richiamare il Piano nazionale transizione 4.0 varato dal governo italiano. Quest’ultimo, con l’intento di stimolare gli investimenti privati, mette in campo circa 24 miliardi di euro, riconoscendo, tra le altre cose, il credito di imposta per la copertura degli investimenti delle imprese in beni materiali e immateriali, ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica e nella formazione.
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