Il Principato di Monaco ha intrapreso negli ultimi anni una serie di riforme al fine di rendere il micro-Stato pienamente conforme con gli standard internazionali elaborati in ambito Ocse sulla base del modello Tax Information Exchange Agreement, che disciplina lo scambio di informazioni in materia fiscale a livello internazionale.
Tale percorso ha portato a siglare con l’Italia nel 2015 un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, facendo sì che il Principato rientrasse a partire dal 2017 nella “white list” fiscale italiana. Ciò nonostante, il Principato è ancora considerato dall’amministrazione fiscale italiana come uno Stato avente un regime fiscale privilegiato, rendendosi così applicabile l’articolo 2, comma 2bis del Tuir, secondo cui la residenza fiscale dei cittadini italiani trasferitisi nel Principato si considera sempre in Italia, salvo che il cittadino non ne dia prova contraria (“presunzione legale relativa della residenza fiscale italiana”).
Novità introdotte dall’accordo sulla residenza fiscale
L’Accordo prevede una norma volta a dirimere le controversie tra i due Stati nel caso di doppia residenza fiscale, ossia nelle ipotesi in cui un individuo venga considerato residente fiscale sia in Italia sia nel Principato di Monaco in base alle rispettive leggi nazionali (“doppia residenza”).
Tale norma è in linea con l’impostazione prevista dal modello di convenzione Ocse contro le doppie imposizioni (le c.d. “tie-breaker rules”) e prevede una serie di criteri per determinare – in ipotesi di doppia residenza fiscale – quale sia lo Stato a poter considerare il contribuente residente fiscale in modo prevalente ed esclusivo. I criteri in questione non sono alternativi tra loro ma ordinati in linea gerarchica.
In dettaglio, la persona è considerata residente fiscale in modo esclusivo:
- nel Paese nel quale dispone di un’abitazione principale, ossia un’abitazione posseduta a qualsiasi titolo purché il soggetto l’abbia a disposizione continuamente e non occasionalmente;
- in caso di abitazione principale in entrambe i Paesi, nel Paese dove le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (“centro degli interessi vitali”).
- in caso di centro degli interessi vitali in entrambe i Paesi, nel Paese in cui soggiorna abitualmente (“residenza abituale”);
- in caso di residenza abituale in entrambe i Paesi, nel Paese del quale ha la nazionalità.
Gli effetti dell’accordo a livello italiano
Prima dell’entrata in vigore dell’accordo, era applicabile esclusivamente la norma prevista dall’art. 2, comma 2bis del Tuir: ricadeva sul cittadino italiano l’onere di provare di aver interrotto ogni rapporto significativo con l’Italia e non di avere in Italia né la dimora abituale né il centro dei propri affari ed interessi, avvalendosi degli elementi di prova individuati nella Circolare ministeriale n. 304/1997.
Tale onere era particolarmente difficile in quanto l’accertamento italiano sulla residenza fiscale è particolarmente ampio, essendo possibile reperire ogni elemento concreto a comprova di eventuali legami familiari, legami affettivi, interessi economici presenti in Italia del contribuente. È possibile prendere in considerazione anche la volontà del soggetto di voler, in futuro, rientrare a vivere in Italia.
L’attività di accertamento italiana sulla residenza fiscale del cittadino italiano deve essere invece ora esercitata nel pieno rispetto dei vincoli derivanti dall’accordo ratificato fra l’Italia ed il Principato di Monaco, avendo quest’ultimo carattere sovrannazionale e prevalente rispetto alla legge nazionale.
Ne deriva pertanto che il cittadino italiano, qualora risultasse residente nel Principato di Monaco in base alla legge monegasca, il suo stato di residenza fiscale in Italia dovrà essere verificato seguendo i criteri stabiliti dall’accordo (abitazione principale, centro interessi vitali, residenza abituale, cittadinanza), ordinati in linea gerarchica, in luogo delle regole più complesse previste dal diritto italiano.
Aspetti procedurali
Resta tuttavia da chiarire dal punto di vista procedurale se sarà il contribuente a dover continuare ad avere l’onere a fornire la prova della propria residenza fiscale estera. A tal proposito, occorrerà che si formi una prima giurisprudenza di merito sulla nuova normativa per valutare se la presunzione legale prevista dal comma 2bis, possa dirsi del tutto rovesciata o meno.