2021. È un giorno d’estate a Firenze e Ali Banisadr passeggia fra i suoi quadri rispondendo alle domande di chi scrive, nella penombra della Sala dei Gigli, a Palazzo Vecchio. Con lui, Sergio Risaliti, curatore della mostra Beautiful Lies, che vede il pittore di origini iraniane protagonista anche al museo Stefano Bardini.
Foto di © Teresa Scarale
Oggi, i dipinti di Banisadr non sono definibili né come astratti né come figurativi. Nel momento in cui pare di scorgervi delle figure antropomorfe, quelle si dissolvono; viceversa, quando l’occhio sembra perdersi nei colpi di spazzola, i segni si ricompattano come richiamati all’ordine da una forza altra, evocativi di una multidimensionalità sensoriale. I colori riecheggiano suoni, rumori, sinfonie. Vi si stipano densi, spesso brucianti come fiamme e soffocanti come fumo. Ma a tratti lasciano spazio a uno sbruffo d’aria celeste. «Paesaggio pandemonico», lo definisce Sergio Risaliti. Lo stesso Banisadr rivela di creare le sue opere in due fasi: una dalla gestualità energica, spontanea, quasi performativa; l’altra minuziosa, ravvicinata alla tela, quasi meditativa, «come se un angelo fosse con me».
Ali Banisadr, Underworld, 2021. Courtesy Ropac
Cos’è rimasto di quelle esplosioni, la memoria è una bugia? «Io mi servo della sola memoria per dipingere, non uso riferimenti. Sia quella personale che collettiva. La memoria comune è importantissima per me. Esiste da migliaia di anni, accedervi significa accedere agli archetipi, all’inconscio collettivo, alla storia». Forse in ragione di questa dimensione collettiva, l’autore dice di non avere un dipinto cui è legato maggiormente. «Tutti i miei quadri sono importanti, sono fette di tempo, pensieri che mi attraversano la mente. Sono importanti per ragioni personali, riferimenti politici, cosmologici, sono parte di un tutt’uno». Non sono scindibili. «Tutto nell’universo è di uguale importanza, connesso, collegato».
Ali Banisadr, SOS, 2020. Courtesy Ropac
Ali Banisadr, Beautiful Lies, 2021. Courtesy Ropac
Per Ali la conoscenza dell’Alighieri arriva, come per ogni ragazzo della Terra, a scuola. Il richiamo e la fascinazione, dopo. «Sono alla lettura della quarta traduzione dell’Inferno. Da tre anni a questa parte ho riscoperto Dante. Mi ci sono immerso totalmente. Dagli articoli specialistici e gli studi all’ascolto di podcast. Ho pure fatto amicizia con una delle sue traduttrici, Mary Jo Bang , la cui traduzione ha il pregio di essere molto contemporanea».
Courtesy Museo Novecento Firenze. © Serge Domingie
La duplice esposizione di Firenze (fino al 29 agosto 2021) offre all’artista l’occasione del debutto in un museo pubblico italiano (e fiorentino). Al museo Stefano Bardini, immersi nei marmi e nelle pitture medievali e rinascimentali, le sue opere trovano la sponda del dialogo nella collezione di antiche armature e tappeti persiani (felice coincidenza?). La mostra di Palazzo Vecchio invece è dedicata anche ai tre dipinti site-specific (Beautiful Lies – 2021, Underworld – 2021 e SOS – 2020) che l’artista ha realizzato su invito del curatore Sergio Risaliti nell’ambito delle celebrazioni per i 700 anni della morte di Dante. «Nessun quadro illustra un canto o una cantica specifica», dice. «È come vedo il mondo io attraverso gli occhi di Dante». E il personaggio preferito della Commedia, chi è? «Probabilmente Dante stesso. È ogni uomo».