Quello che è diventato uno degli obiettivi cruciali per la lotta al riscaldamento globale, consiste piuttosto in un meccanismo di compensazione. Per ogni grammo di gas serra emesso, in una situazione Net zero, una pari quantità viene rimossa dall’atmosfera.
Di conseguenza, le emissioni proseguono, ma con l’implementazione di sistemi in grado di neutralizzare (da qui il termine “carbon neutrality”) il loro impatto netto sull’ambiente. Spiegata così sembra molto semplice, ma la realizzazione di questi piani è estremamente complessa, specialmente per alcuni settori le cui elevate emissioni sono difficili da compensare: il trasporto aereo, quello delle merci e la produzione siderurgica sono alcuni fra gli esempi comunemente citati.
A fronte di queste difficoltà, infatti, vari impegni verso il Net zero assunti da numerosi Paesi continuano a mancare di dettagli, di vincoli legali tassativi e di procedimenti di controllo. Come avevamo mostrato in un precedente articolo, l’Italia, fra i 12 Paesi del G20 che hanno annunciato un piano di carbon neutrality, risulta fra i meno precisi nel definire come l’obiettivo sarà raggiunto entro il 2050. Ad esempio, non viene sciolto il dubbio sul fatto che verranno neutralizzate anche le emissioni prodotte dai settori più problematici.
Per ridurre la CO2, inoltre, avranno un crescente ruolo l’elettrificazione della mobilità e la crescente adozione dei biocombustibili, che riducono la necessità di estrarre nuovi idrocarburi. Al quadro di interventi si aggiunge l’incremento della produzione energetica da fonti rinnovabili, in particolare l’energia solare ed eolica.
La riduzione delle emissioni serra continua, anche dopo i nuovi impegni assunti nel corso della Cop26 di Glasgow, a deludere le aspettative degli esperti climatici. Un nuovo calcolo delle Nazioni unite contenuto nell’Emissions gap report, pubblicato martedì 9 novembre, ha stimato che l’implementazione delle politiche annunciate finora comporterà un aumento della temperatura di 2,5 – 2,7 gradi entro fine secolo, rispetto ai livelli pre-industriali. L’obiettivo minimo dell’Accordo di Parigi è di mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 gradi e, auspicabilmente, a 1,5 gradi. Finora, un aumento di 1,1 gradi si è già concretizzato e per riportarsi sulla rotta che conduce all’obiettivo più ambizioso di Parigi sarebbe necessario dimezzare le emissioni entro la fine del decennio, ha calcolato il panel di esperti climatici dell’Onu.
Rispetto agli impegni assunti prima della Cop26 le emissioni previste al 2030 erano superiori di circa 500 milioni di tonnellate – ma essere scesi a quota 51,5 miliardi, tuttavia, non basta per scongiurare un riscaldamento globale ritenuto pericoloso per l’ecosistema, per l’uomo e per i suoi investimenti.