La fine del portafoglio bilanciato per eccellenza era già stata annunciata in passato. Questa volta il contesto di un rialzo dei tassi da parte delle banche centrali andrebbe a colpire contemporaneamente bond e azioni. A settembre la nuova correlazione è stata già osservata, in vista del tapering Fed
Questa correlazione è stata osservata in modo chiaro lo scorso settembre, spingendo gli analisti di Bank of America e Goldman Sachs a pronunciare la “fine del 60/40”. La prospettiva di un rialzo dei tassi, da parte della Federal Reserve, ha colpito entrambe le componenti di questo portafoglio, che ha registrato la sua peggior performance mensile dai tempi del coronacrash. Secondo i calcoli di Goldman Sachs i portafogli 60/40 hanno ceduto il 4% a settembre.
Se i rendimenti sono estremamente bassi, come nella fase attuale seguita all’intervento delle banche centrali, è difficile chi i bond possano attirare acquisti anche quando le azioni scendono. Storicamente il modello 60/40 ha subito ribassi mensili del 10% o superiori per sole cinque volte dal 2000 ad oggi, l’ultima volta delle quali proprio nel crollo dovuto al Covid-19.
A finire sotto osservazione nel modello bilanciato per eccellenza sono soprattutto i titoli governativi, che lo stesso guru dei bond Bill Gross aveva fortemente sconsigliato alcune settimane fa. Con la prospettiva di tassi destinati a salire, in seguito alla normalizzazione delle politiche monetarie, il valore dei titoli (che è inversamente correlato ai tassi d’interesse) non potrà che scendere.
“Per il lungo termine, anche se un grande ‘shock dovuto al rialzo dei tassi’ è improbabile, i gestori potrebbero considerare due grandi cambiamenti in vista di una tendenza graduale all’aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse”, ha affermato BofA in una nota ai clienti, “a fronte di un aumento costante dell’inflazione l’appello è: ‘comprare titoli tecnologici, ma non solo’, dal momento che i salari più alti stimolano più spesa in conto capitale e produttività in altri settori”.
Alcuni mesi fa, lo scorso maggio, Morningstar si era espressa con alcune riserve rispetto all’introduzione di asset class più rischiose per superare il “vecchio” 60/40.
“Certo, caricare il portafoglio a reddito fisso con obbligazioni più rischiose che sono meno sensibili alle variazioni dei tassi di interesse avrebbe portato a rendimenti migliori” a breve, “ma nel lungo termine, è un’altra storia”, aveva affermato la società, “l’ampia esposizione alle obbligazioni investment-grade statunitensi, come l’indice Aggregate, continua a fornire una zavorra contro i grandi cali del mercato azionario che potrebbero effettivamente far deragliare il portafoglio”.