È un tema che ricorre, anche oggi, che bitcoin non è più l’oggetto misterioso che era otto anni fa. Nella notte tra il 17 e il 18 aprile 2021 l’asset segna un crollo del 15%.
“Affermazioni che contraddicono le evidenze”, commenta Ferdinando Ametrano, docente di Bitcoin e tecnologia blockchain all’Università Milano-Bicocca e amministratore delegato di CheckSig, società di custodia bitcoin per investitori istituzionali e Hnwi. “I dati dicono esattamente l’opposto di quanto suggerisce Yellen: non che non ci siano attività di riciclaggio tramite bitcoin, ma i reati finanziari si compiono molto più di frequente con la finanza tradizionale”. Insomma, Yellen – ma anche l’attuale presidente della Fed Jerome Powell che usa toni simile alla sua collega – sembra assecondare un pregiudizio. “L’impressione – chiosa Ametrano – è che i regolatori rispondano con un riflesso pavloviano, tradendo l’auspicio di relegare bitcoin tra i fenomeni folcloristici o criminali. Come se ancora non fosse chiaro, invece, che la rivoluzione bitcoin rischia di travolgere il sistema. Se vogliamo fare un’analisi obiettiva, dovremmo segnalare che la grande trasparenza della blockchain lascia tracce indelebili di ogni transazione. Pertanto tutto resta indagabile nel tempo, quindi è qualcosa che non si presta di per sé al riciclaggio”.
In effetti, a guadare i numeri, sembra proprio che le preoccupazioni di Yellen e di chi la pensa come lei siano eccessive.
Il report annuale di Chainalysis, la principale società di forensica blockchain al mondo, utilizzata da tutte le forze dell’ordine e dall’industria per prevenire e/o indagare transazioni criminali, scrive che “nel 2019 l’attività illecita ha rappresentato il 2,1% del volume complessivo delle transazioni di criptovaluta o circa 21,4 miliardi di dollari. Nel 2020, la quota illecita di tutte le attività di criptovaluta è scesa a solo lo 0,34%, o 10 miliardi di dollari in volume. Uno dei motivi per cui la percentuale di attività illecite è diminuita è perché l’attività economica complessiva è quasi triplicata tra il 2019 e il 2020”.
Ma la buona notizia, suggerisce ancora Chainalysis è triplice: “la criminalità legata alla criptovaluta sta diminuendo; rimane una piccola parte dell’economia complessiva delle criptovalute ed è relativamente inferiore alla quantità di fondi illeciti coinvolti nella finanza tradizionale”.
L’utilizzo di bitcoin nell’ambito del riciclaggio appare trascurabile: e non solo. Nel National risk assessment of money laundering 2020 predisposto dal governo inglese, i cryptoasset vengono inquadrati nel rischio medio, mentre, per esempio, l’intero sistema bancario tradizionale è inquadrato nel rischio alto.
E c’è un ulteriore documento che sgombra il campo da ogni allarmismo: lo firma Michael Morrell, l’ex direttore della Cia. Non solo confermando che l’uso illecito di bitcoin è solo minimo e anche in decrescita, ma dichiarando che “è più facile tracciare le attività illecite transnazionali usando Bitcoin che provando a seguire il danaro che transita dalle banche tradizionali, e straordinariamente più semplice rispetto alle transazioni in contanti”.
“Insomma: che si tratti di preoccupazioni legate ai consumi o al crimine, quando si tratta di Bitcoin vengono sempre strumentalmente gonfiate”, commenta ancora Ametrano.
Perché? “Perché è una nuova tecnologia ed è complicata per comprendere: le persone in genere hanno paura di ciò che non capiscono”, scrive Morrell, che sottolinea infine che “Bitcoin e la sua natura decentralizzata rappresentano una minaccia dirompente per le istituzioni finanziarie tradizionali. Lo stesso si sarebbe potuto dire per le firme elettroniche 20 anni fa: che hanno suscitato grande interesse e acceso un dibattito significativo sulla tutela dei consumatori e l’integrità del sistema finanziario”. Finché nel sistema finanziario non sono state inglobate, migliorandolo.