In Goldman Sachs i licenziamenti potrebbero riguardare la maggior parte delle principali divisioni della banca, ma soprattutto l’investment banking
Morgan Stanley aveva avviato a inizio dicembre un taglio del 2% del personale, con un impatto su circa 1.600 degli 81.567 dipendenti
Tremano le banche d’affari, alle soglie di una nuova stagione di licenziamenti. Si parte da Goldman Sachs che, secondo quanto riferito da una fonte vicina alla questione al Financial Times, si prepara a tagliare 3.200 posti di lavoro dopo che l’amministratore delegato David Solomon in una conferenza organizzata a inizio dicembre dal Wall Street Journal aveva annunciato la necessità della storica investment bank americana di “ridimensionarsi”.
Le uscite, che rappresenterebbero circa il 6,5% dei 49mila dipendenti del colosso bancario, sono inferiori alle 3.900 inizialmente indicate dalla stampa a fine anno. Inoltre, potrebbero scivolare anche sotto la soglia dei 3.200 posti di lavoro in meno attesi, ma rappresenterebbero in ogni caso l’ondata di licenziamenti più profonda che Goldman Sachs abbia mai avviato nella sua storia recente. In parte, secondo il quotidiano economico-finanziario britannico, rifletterebbe il fatto che a inizio 2020 Goldman aveva aumentato il proprio organico a un ritmo doppio rispetto a quello del settore bancario in generale, espandendosi in nuove aree e interrompendo i consueti tagli annuali dei dipendenti meno performanti durante la crisi pandemica.
I licenziamenti riguarderebbero la maggior parte delle principali divisioni della banca, ma soprattutto investment banking, trading e credito al consumo (dopo che Goldman Sachs ha ridimensionato i piani per l’unità Marcus diretta al consumatore). In genere, il colosso di Wall Street taglia ogni anno dall’1 al 5% di dipendenti, ricorda Reuters. Solomon aveva inoltre inviato un promemoria di fine anno al personale per avvertire di una riduzione dell’organico nella prima metà di gennaio. Ricordiamo che martedì prossimo saranno presentati intanto i risultati del quarto trimestre del 2022 e le attese degli analisti sono per un crollo degli utili per azione di circa l’8% su base annua.
La mossa di Goldman Sachs non resta tra l’altro isolata nel panorama bancario. Negli scorsi mesi anche Morgan Stanley e Citigroup hanno avviato una riduzione dell’organico, complici gli alti tassi d’interesse, le tensioni tra Stati Uniti e Cina, la guerra russo-ucraina e l’impennata dell’inflazione. Stando ai dati Dealogic visionati da Reuters, le commissioni globali delle banche d’investimento si sono infatti quasi dimezzate nel 2022, con 77 miliardi di dollari a fronte dei 132,4 miliardi dell’anno precedente. Il valore totale delle fusioni e acquisizioni è crollato invece del 37% a 3,66 trilioni di dollari al 20 dicembre, dopo aver raggiunto il massimo storico di 5,9 trilioni di dollari nel 2021.
Morgan Stanley, in particolare, aveva avviato a inizio dicembre un taglio del 2% del personale che ha avuto un impatto su circa 1.600 degli 81.567 dipendenti. Secondo quanto riportato da Cnbc, la categoria dei consulenti finanziari era stata una delle poche a essere esentata dai licenziamenti. A novembre, invece, Citigroup aveva licenziato 50 addetti al trading. Senza dimenticare Credit Suisse che, alle prese con il maxi-piano di rilancio, aveva in programma di tagliare 2.700 posti di lavoro entro la fine dello scorso anno e un totale di 9.000 posti di lavoro entro il 2025. Chiude il cerchio Deutsche Bank AG che lo scorso ottobre ha a sua volta ridotto il personale della sua unità di investment banking, coinvolgendo soprattutto banchieri junior secondo Bloomberg News e il New York Post.