Non è prevedibile con precisione la gravità dell’impatto degli eventi attuali sulle economie mondiali. E questo vale anche nei private market. Il covid ha lasciato delle economie claudicanti, con dei problemi di supply chain che peraltro si perpetuano, come nel caso del caos generato dalla chiusura dei mercati cinesi. La guerra ha aggiunto tensione dal lato costi dell’energia e ulteriori scompensi sui mercati delle commodity.
I riflessi della situazione politico-economica potrebbero essere diversi per Europa e Nord America per le diverse dinamiche. L’Europa è esposta in modo particolare alla crisi dal lato energia, mentre gli Stati Uniti sembrano in una situazione che combina elementi della tech bubble del 2001 ed “esuberanza irrazionale” dei prezzi degli asset (per esempio, housing) e in altri mercati (come student loan) della Grande Crisi finanziaria del 2008, mentre la Fed si appresta a innalzamenti aggressivi dei tassi per contenere l’inflazione.
In generale, tutti i mercati finanziari denotano evidente sofferenza. Per i private market, le valutazioni espresse nel mercato Usa, che è ancora di gran lunga dominante, rappresentano il riferimento e non si possono trascurare le informazioni macro prodotte dai mercati quotati.
Stando ai dati più recenti portati dai commentatori sui principali media, questo inizio dell’anno, almeno per l’indice S&P500 è il quarto peggiore della sua storia in termini di performance, dietro Grande Depressione (1932), Seconda Guerra Mondiale (1940) e guerra del Vietman accompagnata dalla recessione Usa (1970).
L’impatto sui private market
Anche se ad oggi i private market (in realtà escludendo il venture capital, soprattutto più maturo, later stage e pre-Ipo, che ha già sofferto forti svalutazioni) sembrano mostrare grande resilienza (almeno sulla carta), non si può escludere che anche essi risentiranno, magari con ritardo, delle dinamiche valutative registrate sui mercati quotati.
Ad oggi, le evidenze disponibili per gli investimenti di mercato privato sono al più riferite alla situazione al 31 marzo, quando forse ancora si poteva considerare la pretesa visione russa di blitzkrieg in Ucraina.
Nel marzo 2020, molte valutazioni dei Nav di fondi di mercato privato, sono state deliberatamente lasciate inalterate visto la traiettoria di veloce recupero V-shaped mostrata dal mercato. Molte ma non tutte. Molti fondi privati hanno dato informazione di un forte mark-to-market negativo sul Nav alla data di riferimento del marzo 2020, per quanto la relativa documentazione per il reporting agli investitori sia stata fatta in un momento successivo, quando c’era già evidenza di recupero dei mercati.
Come sarà questa volta la situazione delle valutazioni al 31 marzo 2022?
I general partner manterranno delle aspettative più a lungo termine, più smoothed come si dice in gergo, o incorporeranno la maggiore incertezza valutativa del mercato ad oggi? Le regole fissate dagli International private equity vaaluation (Ipev) standards per le valutazioni del fair value lasciano ragionevoli – se non ampi – margini di discrezionalità. Un fair value che fa riferimento a metodologie come quella dei discounted cash flows (Dcf) potrebbe apparire meno volatile rispetto a metodologie che danno maggiore enfasi al mark-to-market.
La vera differenza di sostanza nel breve periodo, per l’investitore, la fa l’eventuale necessità di liquidità o meno ai correnti prezzi di mercato, che potrebbero differire dal fair value. Il fair value è sulla carta e può differire dal bid che un liquidity provider può fornire a fronte di urgente bisogno di liquidità.
L’assenza di transazioni può fornire l’idea di una performance di mercato stabile all’investitore ma in effetti è più apparenza che realtà, e non è neanche una situazione gradita al general partner.
La pazienza di Giobbe?
A chi tocca mantenere la barra a dritta e mostrare doti degne della pazienza di Giobbe quando la situazione economica si complica?
In primis, il problema tocca i general partner e, soprattutto, le società nel loro portafoglio. Non è un caso che GPs come Y-Combinator e Sequoia si siano precipitati a pubblicare (o rispolverare) decaloghi per i founder delle partecipate dei propri programmi di investimento volti a far risparmiare cassa, contenere costi, focalizzare il business per superare un periodo di condizioni economiche più difficili.
A fronte di condizioni più difficili di mercato, i general partner avranno minori opportunità di exit per le società del loro portafoglio e minori valutazioni. Il che si traduce in tempi più lunghi per la rotazione del proprio portafoglio, rendimenti potenzialmente inferiori (sicuramente, se si utilizza l’Irr vista la sua sensibilità all’allungamento dei tempi di liquidazione) e minori incentivi.
Dal canto loro, gli investitori o LPs, per quanto convinti della bontà del concetto di capitale paziente, possono costruire maggiore opzionalità nelle loro scelte a fronte del rischio di mercato che incrementa in un contesto economico potenzialmente rivolto al negativo.
Gli Lps possono adoperarsi per gestire in modo proattivo sia il rischio che il proprio capitale sia richiamato con lentezza (diluendo il proprio rendimento, a maggior ragione in situazioni di inflazione a livelli di guardia), sia il rischio di mercato e in ultima istanza di capitale, ovvero il caso in cui le cattive condizioni di contesto portino alla liquidazione del portafoglio di investimento a prezzi non soddisfacenti o in tempi molto lunghi – in situazioni che entrambe determinano rendimenti diversi da quelli attesi.
Anche nei mercati privati per gli investitori dovrebbe valere la regola del target ragionevole di valutazione, oltre il quale il rischio di downside diventa maggiore dell’opportunità di upside.