“Siamo principalmente un asset manager alternativo e le masse che gestiamo in questo universo d’investimento sono circa due terzi dei nostri asset totali. Il resto è su strategie long only (rialziste ndr), che includono soluzioni con un approccio sistematico, basato su algoritmi proprietari”, dice Cianfoni
Man Group ha da poco completato l’operazione annunciata a giugno, con l’acquisizione di una partecipazione del 51% in Asteria Investment Managers, società di gestione patrimoniale orientata ai criteri Esg con sede a Ginevra, di cui Fideuram ISPB detiene il restante 49%.
Meno storytelling e più contenuti. Dopo 15 anni di politiche monetarie ultraespansive, gli investitori devono prendere atto che i tempi sono definitivamente mutati. E non si può ignorare la lezione del 2022”. Per Matteo Cianfoni, partner & country head per l’Italia di Man Group società globale di gestione, con asset pari a 161,2 miliardi di dollari (al 30 settembre 2023) è arrivato il momento della verità nella strategia di quegli operatori che, negli ultimi anni, hanno cavalcato investimenti con uno spiccato orientamento a favore dello stile growth e della tecnologia, beneficiando di un’espansione dei multipli prima ancora che di un aumento degli utili.
“Questa dinamica, nonostante nomi di prodotti e comparti diversi tra loro, ha generato portafogli molto concentrati su un numero relativamente modesto di titoli. Questo approccio è stato premiante, dal punto di vista commerciale, quando non esistevano alternative all’equity, a causa dei mini rendimenti nel reddito fisso: ricordate Tina, There is no alternative? E ha continuato a funzionare finché il mercato è andato in una sola direzione, o quasi, sostenuto da iniezioni di liquidità a ripetizione. Questo ha alimentato la diffusa convinzione che la diversificazione non sia performante. È vero esattamente il contrario. Anche perché oggi un’alternativa all’equity c’è, eccome. E da qui in avanti, assisteremo a una crescente dispersione dei risultati: sarà fondamentale, quindi, selezionare i singoli titoli, i singoli emittenti”.
Torniamo al 2022: azioni e bond che danno simultaneamente rendimenti negativi, a doppia cifra.
Da quell’esperienza gli investitori devono trarre una lezione importante: occorre aumentare il livello di sofisticazione dei portafogli, diversificando di più e meglio: azioni, credito, certo, ma anche strategie alternative, che sono effettivamente de-correlate rispetto all’andamento delle principali classi di attivo. La maggior parte di queste strategie, infatti, non è esposta alla direzionalità dei listini azionari, con l’obiettivo di generare performance a prescindere dalle condizioni di mercato. La stessa strategia mira a funzionare bene a prescindere dal contesto dei tassi, ovvero sia con i tassi a zero che con i tassi al 4 o5%.
In passato, però, le cose non sono sempre andate per il verso giusto…
25 anni fa c’è stata una fase di grande entusiasmo, di euforia, ma anche con eccessi tipici di un settore nuovo e in fermento. Poi, come spesso accade, a una salita vertiginosa segue una discesa. Sono sopravvissuti solo gli operatori capaci di esprimere le migliori best practice. Noi operiamo in Italia da oltre 20 anni. Fin qui, ci siamo focalizzati soprattutto sulla clientela istituzionale e questo spiega anche il nostro profilo, distante dalle logiche di marketing “spinto”. Ora puntiamo anche al wealth management.
Quali sono gli elementi distintivi del vostro posizionamento, in questo mercato?
Siamo principalmente un asset manager alternativo e le masse che gestiamo in questo universo d’investimento sono circa due terzi dei nostri asset totali. Il resto è su strategie long only (rialziste ndr), che includono soluzioni con un approccio sistematico, basato su algoritmi proprietari. Questo ci rende profondamente diversi rispetto agli asset manager tradizionali: da un lato, il Dna alternativo ci permette di investire nei talenti della gestione specialmente quelli che accettano di condividere il rischio imprenditoriale e i nostri gestori non sono vincolati da una view della casa, pur nel rispetto di rigorose politiche di risk management. E poi possiamo vantare una forte impronta d’innovazione tecnologica. Siamo tra i pionieri del trading sistematico, che utilizza algoritmi proprietari al servizio della gestione di portafoglio. Abbiamo un team di circa 500 persone che lavorano nei dipartimenti tech di Man Group e i nostri continui sforzi di ricerca si avvalgono anche di prestigiose collaborazioni accademiche, in particolare con l’università di Oxford. C’è anche un altro tema che merita attenzione: le dimensioni contano.
In che senso?
Generare alpha è sempre più complicato: occorre mantenersi agili. Avere portafogli troppo grandi può rappresentare un ostacolo. Noi siamo soliti chiudere i fondi, una volta raggiunto il target di raccolta, proprio perché non vogliamo snaturare le nostre strategie. Gli asset manager tradizionali non sono soliti adottare questo approccio.
Quali sono invece gli elementi distintivi rispetto al mondo degli hedge fund tradizionali?
Tipicamente gli hedge fund hanno un solo fondo flagship o comunque pochi prodotti di punta e gestiscono dal quartier generale la relazione con i clienti in tutto il mondo. Noi invece abbiamo un’offerta più ampia significa anche veicoli d’investimento in linea con le normative dei diversi Paesi e una rete distributiva piuttosto capillare, che ci consente di intercettare meglio i bisogni dei clienti. A questo si aggiungono alcune iniziative strategiche, come la partnership con Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking, che di recente si è consolidata ulteriormente.
In che direzione?
Man Group ha da poco completato l’operazione annunciata a giugno, con l’acquisizione di una partecipazione del 51% in Asteria Investment Managers, società di gestione patrimoniale orientata ai criteri Esg con sede a Ginevra, di cui Fideuram ISPB detiene il restante 49%. Questo è il primo passo di una nuova partnership strategica, che sarà focalizzata sull’ampliamento dell’offerta, attraverso la creazione di una gamma di strategie d’investimento alternative e long-only che applicano tecnologie all’avanguardia. Il progetto ha l’obiettivo di sviluppare prodotti insieme: in questo modo, possiamo mettere a fattor comune, da un lato, le competenze e l’infrastruttura tecnologica di Man Group e dall’altro, la conoscenza del mercato che è in grado di esprimere il primo gruppo italiano del private banking. Lanceremo soluzioni innovative, attingendo anche alle esperienze maturate in altri mercati, come quello asiatico. È un tipo di collaborazione che abbiamo già sperimentato in altre geografie, ma è la prima volta che Man Group ha cercato una sintesi con uno dei player leader nel private banking in Europa, in una forma di comunione innovativa, per dare valore ai consulenti e ai clienti.
Chi è Matteo Cianfoni
Matteo Cianfoni è dal 2016 partner e country head di Man Group in Italia. Prima di entrare in Man Group, Matteo ha lavorato in RWC, dove ha sviluppato l’attività del Sud Europa e ancora prima in Man Group, come Director nel team di Client Advisory. Ha iniziato la sua carriera in Morgan Stanley, nella divisione di Sales and Trading. Matteo si è laureato con lode presso l’Università Bocconi di Milano con una laurea specialistica in Discipline Economiche e Sociali.
Articolo tratto dal n° di dicembre di We Wealth. Abbonati subito qui per leggere ogni mese il tuo Magazine in formato cartaceo o digitale