Corea del Nord e Iran hanno già sfruttato in passato le criptovalute per eludere le sanzioni occidentali
Ancora una volta, l’afflato libertario che ha dato vita al progetto del Bitcoin, si andrebbe a scontrare con quelli che sono i suoi utilizzi più problematici, diventando anche uno strumento di resistenza per le dittature
“In primo luogo, questo pacchetto include sanzioni finanziarie che tagliano l’accesso della Russia ai mercati dei capitali più importanti”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al termine del consiglio straordinario dei capi di governo Ue. “Stiamo prendendo di mira il 70% del mercato bancario russo, ma anche aziende statali chiave, compreso il settore della difesa. Queste sanzioni aumenteranno i costi di prestito della Russia, aumenteranno l’inflazione e gradualmente eroderanno la base industriale della Russia”.
Di fronte allo scenario di un prolungato logoramento economico, Mosca potrà contare su un nuovo alleato nella guerra delle sanzioni: le criptovalute. Il problema delle sanzioni internazionale volte ad arginare le relazioni commerciali con l’estero di certi Paese è che, a fare da controllore, sono gli intermediari finanziari tradizionali, come le banche. Come avviene per i controlli anti-riciclaggio, le istituzioni finanziarie sono tenute a controllare che le controparti delle transazioni non siano soggette a sanzioni e, nel caso, a bloccare l’operazione segnalando alle autorità le attività sospette.
Nel mondo di una volta, le alternative per eludere i sistemi di pagamento tradizionali erano molto più complesse. Le criptovalute, invece, sono nate con il preciso scopo di consentire il trasferimento di valore fra pari, in modo sicuro, ma estromettendo gli attori finanziari tradizionali. E’ una caratteristica in grado di tornare molto utile alla Russia, ora che si sta tentando di isolare finanziariamente il Paese.
Un regime ultra-sanzionato come la Corea del Nord, ad esempio, avrebbe già fatto uso di criptovalute per sviluppare i suoi programmi nucleari, secondo quanto risulta alle Nazioni Unite. I ricavi dal mining di Bitcoin, secondo quanto aveva scritto Elliptic lo scorso maggio, è stato sfruttato come fonte di ricavi anche dall’Iran, per circa un miliardo di dollari l’anno. Secondo l’osservatorio dell’università di Cambridge dedicato al Bitcoin, nell’agosto 2021 l’11,2% della capacità di mining mondiale si trovava proprio in Russia – è la terza più grande al mondo.
Inoltre, la banca centrale della Russia, come gran parte delle sue colleghe, è già da tempo al lavoro nello sviluppo della sua moneta digitale pubblica (Cbdc), il rublo digitale. Anche in questo caso, lo scambio internazionale condotto in Cbdc potrebbe avvenire senza la necessità di convertire la moneta nazionale in dollari, eludendo, così, controlli bancari e sanzioni. Per quanto riguarda gli scambi eventualmente condotti in criptovalute comuni, come il Bitcoin, la blockchain da sola non sarebbe in grado di fornire il pieno anonimato delle controparti (ed è pubblicamente consultabile); tuttavia, ha scritto il New York Times, “nuovi strumenti sviluppati in Russia possono aiutare a mascherare l’origine delle transazioni” anche in questo dominio.
Ancora una volta, l’afflato libertario che ha dato vita al progetto del Bitcoin, si andrebbe a scontrare con quelli che sono i suoi utilizzi più problematici: non più solo mezzo per estorsioni informatiche o riciclaggio, ma anche strumento di resistenza per le dittature.