Le multi-club ownership sono spesso costruite attorno a un “club stellare” situato nei campionati più redditizi, mentre le restanti quote riguardano club di minori dimensioni
L’ascesa delle mco sembrerebbe essere direttamente collegata alle sinergie di cui i club possono godere, in termini per esempio di contratti di sponsorizzazione
I fondi continuano a credere nel calcio, puntando sul modello multi-club: una strategia che consiste nel detenere quote di investimento, come azionista di maggioranza o minoranza, in più di un club. Secondo una nuova analisi di PitchBook, il 41,7% delle rose dei cinque più grandi campionati europei – Serie A, Bundesliga, La Liga, Ligue 1 e Premier League – fa parte di una struttura di questo tipo (anche nota in inglese come multi-club ownership o mco). Un dato tra l’altro in crescita rispetto al 36,7% della stagione 2022-2023. Ma come funziona nel dettaglio?
Le mco sono spesso costruite attorno a un “club stellare” situato nei campionati più redditizi, mentre le restanti quote di investimento riguardano club di minori dimensioni. La prima ragione risiede nel fatto che la Uefa vieta a due club di gareggiare nella stessa competizione se la maggioranza è detenuta dagli stessi azionisti. In secondo luogo, il fondo cercherà di replicare le formule vincenti del club principale nei club minori per migliorarne le prestazioni e, in ultima analisi, beneficiarne a livello di valutazione del gruppo. In terzo luogo, competendo a livelli e in geografie diverse, i club sottostanti non sono in concorrenza tra loro, evitando così – almeno in teoria – eventuali conflitti di interessi. Un’alternativa consiste nel diversificare tra gli sport, strategia adottata per esempio dal proprietario dell’Arsenal (il miliardario Enos Stanley Kroenke) che possiede una serie di squadre tra Nba, National football league e Majour league soccer.
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L’ascesa delle mco sembrerebbe in ogni caso essere direttamente collegata alle sinergie di cui i club possono godere. È frequente per esempio che il club “campione” acquisti o dia in prestito i giocatori più performanti ai suoi club “satellite”. Altri vantaggi sono legati al monitoraggio delle performance, potendo le varie squadre condividere Kpi (Key performance indicator, ndr), strumenti di scouting, software di analisi tattica e ancora tecniche e strutture di allenamento. E prestazioni più elevate “spesso si traducono in risultati finanziari più solidi”, spiega Nicolas Moura, cfa analyst, Emea private capital di PitchBook. “I club ottengono inoltre un potere contrattuale maggiore per i contratti di sponsorizzazione rispetto a quello che potrebbero ottenere individualmente, perché la forza del loro brand aumenta in quanto parte della rete mco”, scrive Moura. Per esempio, all’interno della rete del City Football Group, tre club hanno Etihad Airways come sponsor di maglia, nove hanno Puma come produttore di uniformi, cinque utilizzano la parola “City” nel loro nome e sei hanno uniformi azzurre che rinviano al loro “club stellare” (il Manchester City).
“La struttura delle mco è tuttavia intrinsecamente soggetta a critiche, in quanto possono emergere conflitti di interesse tra i club più importanti e i club satellite”, avverte Moura. “Una questione fondamentale è che, in teoria, ogni club dovrebbe essere gestito in modo indipendente dagli altri e perseguire i propri interessi. Nessun club vuole essere all’ombra di un altro, mandando via i suoi migliori giocatori e ostacolando le sue prestazioni. È fondamentale che i proprietari affrontino e rispettino questo aspetto per far funzionare la struttura della mco”, suggerisce l’esperto. Inoltre, aggiunge, non è chiaro quanti dati possano essere condivisi tra i club delle mco nell’attuale panorama normativo. “Sono necessarie regole più chiare, poiché le norme attuali dei singoli organi di governo consentono di sfruttare le scappatoie e di concedere eccezioni. Per promuovere ulteriormente gli investimenti e l’impegno in questo sport, serve un quadro più completo”, conclude Moura.