Gli italiani che si fidano degli intermediari e che possono vantare competenze finanziarie buone, ossia quelli che tendono a cercare di più i consulenti, sono ancora una minoranza. Infatti, il “consulente” più diffuso nel Paese resta l’amico o il parente
Le priorità espresse dagli italiani continuano a premiare i prodotti che offrono una garanzia di restituzione del capitale e rendimenti garantiti. Quando il risparmiatore è assistito da un consulente, però, il peso dei fondi comuni nell’allocazione risulta superiore del 141%, quello dei prodotti assicurativi sale del 122% e quello dei bond bancari del 133% – a discapito di Btp, altri bond non finanziari e conti correnti.
I tratti che accomunano con maggior frequenza chi si mette alla ricerca di un advisor sono, in ordine d’importanza, una ricchezza finanziaria superiore ai 10mila euro (è così nell’83% dei casi), competenze digitali superiori alla media (70%) e il fatto di essere un uomo (68%). Segue, subito dopo, un più elevato livello di competenza finanziaria (64%). Di fatto, dunque, si fa assistere da un consulente chi, prima ancora di entrare in contatto con un esperto, è più preparato sulla materia finanziaria, ha una situazione economica relativamente buona e sa come muoversi in un ecosistema digitale. A questi fattori si aggiunge un ultimo elemento: il 63% di chi si è messo alla ricerca di un consulente nel 2020-21 nutre maggiore fiducia negli intermediari finanziari.
Il problema è che gli italiani che si fidano degli intermediari (sono meno del 30%) e che possono vantare competenze finanziarie buone, ossia quelli che tendono a cercare di più i consulenti, sono ancora una minoranza. Infatti, il “consulente” più diffuso nel Paese resta l’amico o il parente: fa riferimento a loro il 37% degli investitori italiani (in leggero calo dal 39% del 2019). La crescita dei consulenti finanziari sembra aver eroso, piuttosto, la quota di risparmiatori che opta per il fai-da-te: nei tre anni esaminati, infatti, si è ridotta, infatti, dal 42% al 31%.
E’ questo il quadro che emerge dal nuovo rapporto Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane, realizzato attraverso il sondaggio di 2.695 individui rappresentativi della popolazione dei decisori finanziari italiani (alcuni dei quali intervistati sin dal 2019 per seguire l’evoluzione degli orientamenti nel medesimo campione).
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Entrando ancor più nel dettaglio dell’identikit del risparmiatore che sceglie il consulente finanziario si apprende che è, con maggior frequenza, vedovo/divorziato, è un investitore più avverso al rischio e alle perdite, ha meno fiducia nelle proprie competenze, benché sia in possesso di conoscenze finanziarie superiori alla media.
Questi orientamenti assai conservativi e prudenti si traducono in modo piuttosto coerente nell’allocazione dei risparmiatori, in particolare fra quelli non assistiti da un professionista. In quest’ultima categoria il conto bancario/postale rappresenta il 45% degli asset finanziari, seguito dai titoli di stato italiani (28%) e dai fondi comuni (17%).
Come cambia il portafoglio del risparmiatore, invece, quando è seguito da consulente? Innanzitutto, il peso dei fondi comuni nell’allocazione risulta superiore del 141% (dal 17 al 41%), quello dei prodotti assicurativi sale del 122%, quello dei bond bancari del 133 (e qui i malevoli penseranno subito ai casi di Etruria o Veneto Banca). Con il consulente, poi, raddoppia anche la presenza in portafoglio dei Pir, dal 6 al 12%. Ad essere drasticamente ridotta, invece, è l’esposizione ai titoli di stato italiani (-32,14%), ai bond non finanziari/bancari (-35,71%) e in misura più contenuta anche al conto corrente.