Solo il 38% dei gestori patrimoniali crede nella propria capacità di comprendere le esigenze dei millennial e di interagire con loro in modo efficace
Il 50% degli hnwi under 40 vorrebbe poter selezionare una consulenza puramente virtuale (contro il 39% del campione complessivo)
Parallelamente, i giovani investitori si sono rivelati essere la categoria più propensa ad adeguarsi allo “stress test” della pandemia
A caccia di una consulenza puramente virtuale
Individui, tra l’altro, che ricercano oggi migliori e più ampi servizi di consulenza. I wealth manager, spiegano dunque i ricercatori, “devono puntare sempre di più sulla tecnologia e su modelli di business iper-personalizzati”. La bolla tecnologica del 2002 e la crisi finanziaria globale del 2008, infatti, hanno evidenziato “la tendenza degli hnwi a gestire in autonomia i propri investimenti in un mercato rialzista, per poi richiedere nuovamente servizi di advisory durante le fasi di crisi e volatilità di mercato”, si legge nel rapporto. E i ricchi sempre più ricchi, non solo giovani, desiderano ora modelli ibridi e un mix crescente di interazione digitale e interazione diretta.
“Il settore del wealth management deve spingersi oltre i propri confini, per conquistare attenzione e fiducia dei clienti e soddisfare al meglio le esigenze di hnwi abituati alla personalizzazione e ai vantaggi offerti dalle BigTech”, osserva Monia Ferrari, financial services director di Capgemini in Italia. “Investire in tecnologia e competenze è fondamentale per le società di wealth management, dal momento che le WealthTech continuano a crescere e le BigTech stanno facendosi sempre più strada in questo mercato”, spiega.
Spostando l’attenzione sui millennial, come anticipato in apertura, l’analisi rivela poi come il 50% degli hnwi under 40 vorrebbe poter selezionare una consulenza puramente virtuale (contro il 39% del campione complessivo). Di conseguenza, diventa essenziale per le società di gestione patrimoniale formare e riqualificare il personale attuale per servire nuovi profili di clientela e adattarsi ai nuovi canali di erogazione dei servizi, anche se solo il 38% dei gestori si dichiara fiducioso nelle proprie capacità di afferrare i bisogni dei millennial e interagire con loro in modo efficace. Senza dimenticare infine come il 39% dei giovani paperoni siano propensi a richiedere uno score esg per i prodotti loro offerti (in questo caso si parla del 43% del totale degli ultra-hnwi coinvolti).
Investimenti? I giovani sono più “coraggiosi”
Parallelamente, secondo un sondaggio globale coinvolto da Natixis Investment Managers su un campione di 8.500 investitori individuali con più di 100mila dollari di patrimonio investibile, i millennial si sono rivelati essere anche la categoria più propensa ad adeguarsi allo “stress test” della pandemia. Il 74%, infatti, ammette di aver apportato delle modifiche ai propri investimenti. Il 23%, invece, li ha incrementati proprio a causa della crisi (contro il 19% del campione generale), ma ha anche spinto le attività di trading online (32% contro il 23% in generale) facendo leva sul supporto del proprio consulente (24% contro il 18%). “Gli investitori hanno apprezzato le preziose lezioni della pandemia e, uscendo dalla crisi ed entrando nella fase di ripresa, vedono grandi opportunità per far crescere il proprio patrimonio”, commenta Antonio Bottillo, country head e executive managing director per l’Italia di Natixis Investment Managers. “Tuttavia, andando avanti, devono considerare attentamente i risultati che possono realisticamente sperare di ottenere e razionalizzare queste aspettative con una genuina tolleranza al rischio, superando le proprie paure e, infine, facendo in modo che le lezioni critiche che hanno imparato rimangano impresse”.