Il mondo del private banking non è polarizzato solo fra millennial e baby boomer. Esistono e sono rilevanti anche la generazione X e, in prospettiva, la gen Z (oggi: dai 18 ai 25 anni). E la ripartizione del mondo della consulenza finanziaria in fette generazionali non riguarda solo i clienti, ma anche i professionisti che la forniscono. Ciò pone due sfide: attrarre (i) clientela e (ii) private banker più giovani. Se ne è parlato giovedì 18 maggio nella giornata conclusiva del Salone del Risparmio 2023, durante la conferenza “La consulenza finanziaria per la Next Gen: nuovi modelli per gli investitori e i professionisti di domani”, organizzata da Aipb in collaborazione con Accenture.
Quello della consulenza finanziaria per la prossima generazione di clientela è un mercato “ad alto potenziale”: millennial (26-41 anni) e gen X (42-57) in Italia possiedono una ricchezza finanziaria investibile stimata in 600/700 miliardi di euro; per sviluppare il proprio patrimonio e proteggerlo dai rischi, sono interessati a una consulenza finanziaria efficiente ed evoluta.
Attualmente, è il patrimonio delle generazioni più mature ad afferire al private banking: la più rilevante è quella dei baby boomers (58-74) che detengono il 47% dei quasi mille miliardi di euro affidati al settore a fine 2022, seguita dalla Silent Gen (gli over 74) con il 32%. Il restante 21% si divide tra gen X e millenial. La generazione Z – non ancora tecnicamente “private”, ovvero con un patrimonio investibile di 500mila euro – costituisce il vero potenziale della clientela ricca di domani.
Passaggio generazionale private: non solo una questione che appartiene ai clienti
Quattro sono anche le generazioni dei professionisti del private banking che contribuiscono alla diffusione di una gestione professionale dei patrimoni privati. La più numerosa è rappresentata dalla gen X (78%), mentre millennial e gen Z (18-25 anni) equivalgono al 13% e i baby boomers (58-74) al 9%. Queste generazioni esprimono valori ed esigenze differenti in relazione all’ambiente lavorativo, ma contribuiscono, tutte assieme, all’evoluzione del modello di servizio private, grazie a una reciproca contaminazione intergenerazionale.
Boomers e generazione X mostrano i livelli di engagement professionale più elevati: l’88% dei primi e il 77% dei secondi ritiene di contribuire attivamente alla crescita della reputazione della propria banca.
Un risultato che si sposa con le caratteristiche di due generazioni di professionisti che hanno investito molto nella solidità e nel contenuto del proprio ruolo, e che riconoscono nella buona reputazione del brand e nelle capacità del management due elementi fortemente attrattivi per l’evoluzione del proprio percorso di crescita.
Le generazioni di professionisti più giovani, invece, trovano una forte motivazione professionale nel poter fare parte di un team di esperti (100% per la gen Z e 85% per i millennial) con cui condividere la responsabilità di ricoprire un ruolo di guida per la clientela. Due generazioni di professionisti che credono nel valore aggiunto della collaborazione tra colleghi, ma ricercano chiarezza e trasparenza sul percorso di carriera per avere levati livello di engagement professionale.
Aggiunge Federica Bertoncelli, responsabile ufficio studi di Aipb: «Pur con tutti i limiti del raggruppamento in categorie, le motivazioni retrostanti la ricerca di lavoro per la gen Z dipendono dall’atmosfera del luogo di lavoro, dalla visibilità del percorso di carriera, dal grado di diversità e inclusione presenti in una determinata professione; i millennial guardano invece con maggior interesse ai benefit lavorativi e alla possibilità di remote working; motivazioni in gran parte condivise dalla generazione X, alla costante ricerca di equilibrio fra vita privata e lavorativa. I boomer invece, prossimi all’uscita dal mondo del lavoro, prestano particolare attenzione a temi come la reputazione e la forza del management».
Da questa fotografia discendono due sfide: il passaggio generazionale professionale e l’attrazione dei talenti «ancora marginale nella nostra industria. Dobbiamo farci conoscere: la professione del banker non è ancora molto conosciuta, a differenza del commercialista, per dire. Anche per questo in Aipb abbiamo creato un master in wealth management. Crediamo nella creazione di nuove modalità lavoro attraverso la contaminazione generazionale, non in contrapposizione fra di esse. Oggi i giovani sono meno ottimisti ma più fiduciosi nel lavoro di squadra: sempre più il private banking dovrà ragionare in ottica di longevità, parlare con tutto il nucleo familiare e inserire temi previdenziali nella consulenza». Angelo Viganò (Mediobanca): «l’attrazione di nuovi talenti passa anche dal far conoscere ai giovani quanto è bella la filiera del risparmio gestito: 20 anni fa il cliente era un delegatore, oggi è molto spesso un validatore, estremamente informato».
Il private banking del futuro: la sfida di attrarre l’entry level (pensando alla longevità)
Dal lato dei clienti, la chiave resta quella di attrarre l’entry level: «Il mercato in chiave prospect esiste», ribadisce Fabrizio Greco (Bper). Ma attualmente si assiste a una «mancanza del linguaggio giusto, le masse ci sono ma non si investe», aggiunge Paolo Proli. Andrea Binelli, responsabile wealth management di Crédit Agricole Italia: «Il pb è basato sull’esclusività delle soglie di ingresso. Sostenere la filiera con l’experience digitale – anche tramite podcast didattici – è essenziale. Poter accedere a tool che consentono di monitorare costantemente l’allocazione degli asset, incentiva molto all’investimento. Noi abbiamo ingegnerizzato anche le gestioni standard, e per noi è una storia di successo». Dello stesso avviso è Monica Stefani, capital markets principal director di Accenture, quando sottolinea il ruolo essenziale degli strumenti tecnologici abilitanti, come l’intelligenza artificiale generativa: «Serve cambiamento epocale per attirare i giovanissimi, nativamente abituati al tech».
Conclude Pierpaolo Cazzola, strategy wealth management industry lead Italy, Central Europe & Greece di Accenture: «Occorrono una linea di consulenza, unità dedicate e organizzate in maniera specifica per questa fascia di clientela, garantendo ai banker una sostenibilità economica a livello remunerativo, pur lasciando loro gli incentivi. Il tech è in grado di far risparmiare tempo a tutti, clienti e consulenti: e il risparmio del tempo è fondamentale per rendere scalabile il nuovo modello di consulenza. Dal lato dei prodotti infine non è possibile pensare di replicare la gamma della consulenza tradizionale: bisogna concentrarsi sulla pianificazione e il sostegno psicologico. È un modello pensato, ma che non trova ancora applicazione pratica nel mercato. La nostra scommessa è che diventi un modello standard per la popolazione generale, non necessariamente benestante».
A chiosa dell’evento, Antonella Massari, segretario generale Aipb, ha commentato: «Il private banking gestisce i portafogli con una prospettiva multigenerazionale. Circa l’80% dei patrimoni gestiti dal private ha decisori finanziari che appartengono alla silent gen e ai baby boomer. Si tratta di risorse che sempre più andranno gestite tenendo conto dell’allungamento della vita dei loro detentori. La longevità rappresenta certamente un’opportunità per i fornitori di beni e servizi, ma può anche rappresentare un vincolo allo sviluppo se accompagnata, come accade in Italia, alla denatalità. La consulenza fornita dal private banking può aumentare la cultura di un’allocazione del patrimonio bilanciata, tra investimenti di breve e medio-lungo termine, coinvolgendo nelle scelte finanziarie strategiche tutti i membri della famiglia, anche i più giovani».