La web tax è un’imposta che si applica, con aliquota del 3%, sui ricavi realizzati da soggetti esercenti attività di impresa mediante la fornitura di certi servizi digitali, come dettagliati nel provvedimento, il quale esclude dall’ambito oggettivo dell’imposta:
- la fornitura diretta di beni e servizi, nell’ambito di un servizio di intermediazione digitale;
- la fornitura di beni o servizi ordinati attraverso il sito web del fornitore di quei beni e servizi, quando il fornitore non svolge funzioni di intermediario;
- la messa a disposizione di un’interfaccia digitale il cui scopo esclusivo o principale, in termini di ricavi realizzati, è quello della fornitura agli utenti dell’interfaccia, da parte del soggetto che gestisce l’interfaccia stessa, di contenuti digitali, servizi di comunicazione o servizi di pagamento;
- la messa a disposizione di un’interfaccia digitale utilizzata per gestire, tra l’altro: i sistemi dei regolamenti interbancari; le attività di consultazione di investimenti partecipativi e, se facilitano la concessione di prestiti, i servizi di intermediazione nel finanziamento partecipativo; le sedi di negoziazione all’ingrosso;
- la cessione di dati da parte dei soggetti che forniscono i servizi prima indicati;
- lo svolgimento delle attività di organizzazione e gestione di piattaforme telematiche per lo scambio dell’energia elettrica, del gas, dei certificati ambientali e dei carburanti, nonché la trasmissione dei relativi dati ivi raccolti e ogni altra attività connessa.
Sono inoltre esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione dell’imposta anche le prestazioni di servizi accessori alle operazioni escluse appena indicate.
Le modalità di applicazione dell’imposta
Il provvedimento fornisce importanti chiarimenti in merito alle modalità di determinazione della base imponibile, prevedendo che l’aliquota del 3% si applichi ai ricavi imponibili ovvero ai corrispettivi percepiti nell’anno solare da ciascun soggetto passivo dell’imposta. Tali ricavi devono essere assunti al lordo dei costi sostenuti per l’espletamento dei servizi digitali, ma al netto dell’imposta sul valore aggiunto e di altre imposte indirette.
Va tuttavia ricordato che alcune tipologie di ricavi non devono essere computate nel calcolo della base imponibile. Si tratta in particolare dei:
- ricavi derivanti dai servizi digitali resi a soggetti, sia residenti sia non residenti nel territorio dello Stato, che si considerano controllati, controllanti o controllati dallo stesso soggetto controllante nel medesimo anno solare; e
- corrispettivi della messa a disposizione di un’interfaccia digitale che facilita la vendita di prodotti soggetti ad accisa, quando hanno un collegamento diretto e inscindibile con il volume o il valore di tali vendite.
Il direttore, infine, fornisce i necessari chiarimenti in materia di compliance, ed in particolare in merito agli obblighi di versamento, agli adempimenti dichiarativi, nonché agli obblighi contabili cui sono tenuti i soggetti passivi dell’imposta.
- Quanto ai versamenti, il provvedimento precisa che i soggetti passivi sono tenuti al versamento dell’imposta entro il 16 febbraio dell’anno solare successivo a quello in cui sono realizzati i ricavi imponibili, ad esclusione del primo anno di versamento il cui termine ultimo è previsto il 16 marzo 2021.
- Quanto agli obblighi dichiarativi è, invece, previsto che la dichiarazione annuale debba essere presentata (utilizzando l’apposito modello) entro il 31 marzo dell’anno solare successivo a quello in cui sono realizzati i ricavi imponibili, ad eccezione del primo anno per cui il termine ultimo è fissato al 30 aprile 2021.
- Per quanto riguarda gli obblighi contabili viene previsto che i soggetti passivi hanno l’obbligo di rilevare mensilmente le informazioni sui ricavi e sugli elementi quantitativi utilizzati per calcolare l’imposta in un apposito prospetto da tenere secondo il modello allegato al provvedimento in commento.
Le problematiche di doppia imposizione
La disciplina introdotta dal Legislatore nazionale, le cui disposizioni di attuazione sono dettate dal provvedimento in commento, presenta non poche problematiche in termini di coordinamento con le normative degli altri Stati Membri dell’Ue.
La norma interna, pur se di ispirazione europea, non tiene infatti nella dovuta considerazione le misure già adottate da altri Stati dell’Ue sul medesimo tema, mancando un’armonizzazione da parte dell’Ocse o in ogni caso da parte della stessa Unione europea.
Tutto ciò considerato non è possibile esimersi da alcune considerazioni in termini di rischio di doppia imposizione.
In particolare, se si considerano i criteri per la tassazione dei ricavi derivanti dalla messa a disposizione di un’interfaccia digitale multilaterale e dunque la localizzazione in Italia di almeno uno degli utenti coinvolti nell’operazione, vi è un concreto rischio di doppia imposizione qualora sia coinvolto un ulteriore soggetto residente in un Paese (come ad esempio la Francia) che abbia introdotto una imposta simile a quella italiana in assenza di coordinamento tra le amministrazioni degli Stati interessati.
Un ulteriore profilo di criticità, dato dall’assenza di un coordinamento in termini comunitari, concerne l’ipotesi in cui una società non residente sia già sottoposta a congrua tassazione nel proprio Stato di residenza, venendosi a creare in capo alla stessa un ingiustificato fenomeno di doppia imposizione, non essendovi alcuna certezza in merito alla possibilità di godere, da parte della medesima, di un credito di imposta per l’importo versato all’estero a titolo di web tax.
La problematica risulta ancor più rilevante se si considera che il Legislatore nazionale non ha previsto alcuna norma di coordinamento interno, in quanto non vi sono disposizioni che prevedano un’esenzione o un credito di imposta per le società residenti che scontino a loro volta, al di fuori del territorio nazionale, una imposta assimilabile alla web tax domestica.
Tutto ciò considerato, è sempre più evidente l’esigenza di adottare – almeno a livello comunitario – un intervento coordinato che consenta contemporaneamente di salvaguardare la potestà impositiva degli Stati membri rispetto al settore della web economy e di garantire il rispetto di principi fondamentali che informano l’ordinamento comunitario. A tal fine, a livello europeo è attualmente in corso una pubblica consultazione al fine di individuare una norma che possa uniformare le misure sinora emanate da alcuni Stati membri (quali l’Italia e la Francia).
Il timore è che in ogni caso un’azione coordinata da parte della sola UE non sia sufficiente. Di fronte ad una economia digitale che opera su scala globale è, infatti, necessario individuare e condividere un approccio coordinato tra tutti gli attori della comunità internazionale .