Considerato che, nella normalità dei casi, l’impresa costituisce, tra gli asset familiari, quello di valore preponderante, può risultare problematico conciliare l’esigenza di trasferire il “controllo” al discendente designato con quella di attribuire ad ogni legittimario la propria “quota” di patrimonio.
Limitarsi semplicemente a trasferire la maggioranza del capitale (e quindi dei diritti di voto, utili a determinare la governance societaria) al figlio od al nipote “eletto”, lasciando gli altri in minoranza, nel ledere i diritti di questi ultimi, potrebbe infatti condurre – dopo la morte dell’imprenditore – a conflitti familiari idonei ad incidere negativamente sul mantenimento della continuità e del valore aziendale.
Ai fini, quindi, non soltanto di un’equa e corretta pianificazione successoria, ma anche di preservare il valore dell’impresa, diventa necessario contemperare i diritti patrimoniali riservati ai futuri legittimari con l’esigenza di una “buona gestione” dell’azienda.
Il vigente diritto societario offre diversi strumenti utili a tale scopo: possono menzionarsi, ad esempio, i diritti particolari del socio di società a responsabilità limitata (art. 2468, III° comma, c.c.), i quali permettono di riservare ad uno dei discendenti il diritto di nominare la maggioranza dell’organo amministrativo, indipendentemente dalla percentuale di capitale posseduta; oppure, nelle società per azioni, le partecipazioni prive di diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti o con diritto di voto plurimo (art. 2351 c.c.), che consentono di effettuare attribuzioni paritetiche (o comunque rispettose dei diritti riservati dalla legge ai legittimari) ed, al contempo, di concentrare la maggioranza dei voti esercitabili in assemblea in capo all’erede “prescelto”.
Un’ulteriore possibilità per “equilibrare” le attribuzioni patrimoniali tra discendenti può essere quella di scorporare dall’azienda la componente immobiliare, conferendola in una newco (oppure, come spesso accade, in una società immobiliare familiare già esistente): in tal modo, ai figli non attivi in azienda potrebbe essere attribuita una quota di maggioranza (od anche totalitaria) nella società immobiliare, ed una di minoranza in quella operativa; nel contempo, l’azienda continuerebbe a godere degli immobili strumentali in base ad un contratto di locazione (così garantendo, al contempo, redditività alla società immobiliare).
Anche gli strumenti di natura fiduciaria possono rivelarsi ricchi di opportunità: ad esempio, conferendo in trust una partecipazione societaria idonea a determinare la governance aziendale, il trustee-socio nominerebbe l’organo amministrativo in conformità alle previsioni dell’atto istitutivo (e quindi, in ipotesi, nominando il figlio “meritevole” – eventualmente in maniera congiunta ad uno o più amministratori professionali, non family – ed escludendo gli altri dalla gestione).
Tanto gli strumenti societari quanto quelli fiduciari potrebbero essere utilizzati sia, in maniera diretta, nella società operativa quanto a livello di holding (la costituzione della quale potrebbe agevolare ulteriormente la separazione tra gestione e proprietà).
In ogni caso, è raccomandabile l’adozione di apposite previsioni statutarie e/o parasociali utili a garantire anche ai soci estranei alla gestione adeguati diritti economici e patrimoniali (ad esempio, disciplinando analiticamente il diritto alla distribuzione di utili, prevedendo adeguati diritti di informativa sulla gestione e sull’andamento aziendale e stipulando patti di covendita che accordino a tutti i soci parità di trattamento in caso di cessione dell’impresa a terzi).