Le blockchain possono essere pubbliche o private: solo le prime raccolgono la promessa di decentralizzazione degli albori. Ma, spiega l’Abi, grandi innovazioni possono arrivare dalle blockchain private, i cui registri non sono accessibili a tutti
Anche se la blockchain è già un tema d’investimento le principali società che offrono servizi remunerativi in questo campo si occupano perlopiù di cambio o custodia di criptovalute
La blockchain deve la sua notorietà al Bitcoin, anche se si tratta di una tecnologia in grado di svolgere molti altri compiti rispetto al semplice trasferimento di valore. Da anni viene etichettata come la più grande rivoluzione dai tempi di internet, anche se la finanza tradizionale finora non ha raccolto appieno le sue potenzialità. Nella gran parte dei fondi ed Etf tematici dedicati alla blockchain si individuano, soprattutto, società legate a servizi per il cambio di criptovalute (come Coinbase) o legate al mining. In entrambi i casi, la blockchain riesce a produrre un flusso economico grazie alla domanda di criptovalute, alimentata perlopiù da finalità speculative. Non c’è da stupirsi, dunque, se, da inizio anno, la gran parte dei fondi tematici dedicati alla blockchain abbia subito un drastico crollo, peggiore rispetto alla media del mercato: a cadere giù, infatti, è stato tutto mercato delle crypto, cui sono strettamente legate società come Coinbase.
Per orientarsi su cosa possa fare la blockchain per il settore finanziario è utile, però, fare una distinzione. Una serie di applicazioni della blockchain fanno proprio l’ethos originario del progetto di Satoshi Nakamoto, il creatore del Bitcoin, offrendo complessi servizi finanziari simili a quelli bancari, ma privi di un intermediario. Ci riferiamo, in particolare, alle applicazioni di finanza decentralizzata. L’uso dei contratti smart, infatti, consente di automatizzare l’esecuzione di un comando, quando le condizioni necessarie vengono soddisfatte. Non serve che ci sia qualcuno a controllare, ad esempio, se una transazione è avvenuta. Una seconda famiglia di progetti, che si serve dei registri distribuiti, consente di rendere più efficienti (perché più rapide o meno costose) alcune operazioni in precedenza già effettuate mediante altri sistemi. La gran parte delle sperimentazioni che la finanza tradizionale ha effettuato finora servendosi della blockchain appartiene a questa seconda categoria. Nel 2021 la Banca di Francia e la Banca europea degli investimenti, ad esempio, hanno sperimentato il collocamento di titoli obbligazionari attraverso la blockchain.
“Le logiche di business delle sperimentazioni in ambito finanziario sono sempre state orientate alla riduzione dei costi collegati ad alcuni processi; ma senza davvero riuscire a creare nuovo business e questo è stato forse il limite di tutti questi progetti, ossia la difficoltà nell’innovare davvero”, dichiara a We Wealth Giacomo Vella, ricercatore dell’Osservatorio Blockchain & Distribuite Ledger del Politecnico di Milano. “Le prime applicazioni istituzionali della blockchain hanno riguardato i pagamenti, per lo scambio di valore fra diverse banche, soprattutto per evitare i problemi derivanti dal cambio delle valute”, prosegue Vella, “un secondo campo applicativo, sempre fra le piattaforme permissioned, ha riguardato i mercati dei capitali, con la creazione di mercati azionari fatti di titoli tokenizzati che prendeva ispirazione dalle Initial coin offerings, ma in chiave maggiormente regolamentata”. E ancora, “applicazioni si sono viste nell’emissione dei bond, come qelle condotte da Santander, Societe Generale, Banque de France – con l’utilizzo di tecnologie permissionless, ossia blockchain aperte”.
Blockchain, le sperimentazioni promosse dall’Abi
Proprio il sistema bancario italiano si è rivelato fra i pionieri della sperimentazione di un processo basato su blockchain, quello di Spunta Banca Dlt, promosso dall’Abi e coordinato da Abi Lab. In seguito al completamento dei test delle prestazioni tecniche, che hanno simulato 200 milioni di transazioni, l’applicazione Spunta Dlt, si legge sul sito ufficiale, “è in produzione dall’ottobre 2020 con 97 banche aderenti al progetto”. Nel mettere alla prova la blockchain “siamo partiti da Spunta Dlt, un’applicazione un po’ di nicchia, che non toccava i clienti rischiando di recare danno, ma che riguarda le informazioni che le banche si scambiano attraverso i conti reciproci”, così Silvia Attanasio, head of innovation dell’Abi, “era necessario farsi le ossa su questa tecnologia e capirne a fondo le caratteristiche in un ambiente protetto. Oggi il settore bancario italiano è il primo al mondo ad aver trasferito un processo servendosi di questa tecnologia”.
Grazie all’esperienza di Spunta “abbiamo capito che scegliendo la giusta piattaforma per ciascun processo è possibile operare in modo conforme ai requisiti di privacy, anti-riciclaggio: la blockchain non è necessariamente una tecnologia che nasce per aggirare le regole”. Certo, quando le istituzioni di vigilanza parlano dei servizi decentralizzati, lo fanno ricordando sempre il problema delle lacune normative da colmare in questo campo. Attanasio, però, resta ottimista sul fatto che questo ecosistema potrà evolvere nella giusta direzione. “Parlando con diverse startup fintech vedo una crescente comprensione delle responsabilità che sono legate a chi maneggia valori e denaro e nel fatto che poter dire di essere compliant sia un valore”, afferma, “nella finanza tradizionale, dall’altro lato, cresce il desiderio di abbracciare il cambiamento”. Se questo avverrà, anche l’uso della blockchain da parte delle istituzioni potrà farsi più innovativo, uscendo dalla sola logica di replicare processi già esistenti, in modo più veloce o meno costoso. “Com’è avvenuto dopo una prima fase di Internet, nella quale i siti delle banche contenevano solo informazioni limitate, si passerà in seguito all’offerta di nuovi servizi”, continua l’esponente dell’Abi. “C’è una fase in cui un’innovazione viene compresa solo associandola a concetti preesistenti – conclude – ma c’è un tempo, che penso arriverà presto, in cui si iniziano a capire le potenzialità più allargate: e si iniziano a concepire servizi nuovi con la ‘testa di quella tecnologia’”.