Sui conti correnti degli italiani sono parcheggiati oltre 1,7 miliardi, una montagna di risparmi che però resta inerte e non porta alcun beneficio all’economia reale
I pir consentono di veicolare il risparmio verso i settori produttivi, in particolare verso le piccole e medie imprese tricolore. Ma occhio anche ai fondi di private equity
Lo scorso novembre i depositi da clientela residente hanno registrato una variazione tendenziale del +8,3%
Secondo gli ultimi dati dell’Associazione bancaria italiana (Abi), lo scorso novembre i depositi da clientela residente hanno registrato una variazione tendenziale del +8,3%, per una crescita in valore assoluto su base annua di oltre 109 miliardi di euro. Si parla complessivamente di
1.715 miliardi parcheggiati sui conti correnti, una montagna di risparmi – quasi pari al valore del Pil corrente – che potrebbe svolgere un ruolo di primo piano nell’ottica della ripartenza post-covid. Eppure, secondo il ministro dell’Economia e delle finanze Roberto Gualtieri, intervenuto in occasione della
Giornata mondiale del risparmio, “tale tesoro non si traduce in investimenti nell’economia reale”, anzi, a crescere è il “risparmio precauzionale, probabilmente imputabile alla crisi sanitaria e al contempo segno della fiducia dei risparmiatori nei confronti del sistema bancario e finanziario”.
“In una fase come quella attuale, segnata dagli effetti della pandemia, comportamenti cautelativi sono attesi e comprensibili – spiega a
We Wealth Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi – Ma proprio per questo bisogna contrastare le situazioni di incertezza e proseguire con le politiche economiche di istituzioni a livello europeo e nazionale affinché si creino le condizioni per poter avere maggiori investimenti e, quindi, un miglioramento del contesto economico”. Secondo il numero uno dell’associazione di piazza del Gesù, è dunque necessario
continuare a investire sulla formazione, per rafforzare le competenze economiche e finanziarie dei cittadini. “La capacità di pianificazione di risparmiatori e investitori nel medio-lungo termine favorisce lo sviluppo e la sua sostenibilità”, spiega, “sviluppare una maggiore consapevolezza del valore del denaro, del suo uso e dell’importanza del risparmio contribuisce a migliorare la capacità di scelta delle persone, rispetto ai propri investimenti personali o di famiglia, e di poter investire nel futuro”.
Secondo Sabatini, inoltre, la crescita della raccolta è un prerequisito importante affinché le banche possano svolgere pienamente il loro ruolo e trasformare i depositi in prestiti all’economia, a famiglie e imprese. Ma, precisa, “non basta solo la disponibilità delle risorse, occorre anche che queste vengano mobilizzate”, continuando a promuovere strumenti finanziari in grado di favorire la crescita dell’economia. “In questo senso i piani individuali di risparmio (Pir), che consentono di indirizzare il risparmio verso i settori produttivi, in particolare verso le piccole e medie imprese, e di usufruire di importanti benefici fiscali, possono rivestire un ruolo importante per incentivare l’uso di capitali privati verso gli investimenti anche di piccole dimensioni”, conclude Sabatini.
Ma per aprire realmente il rubinetto della liquidità, secondo
Marco Oriani, docente di economia degli intermediari finanziari nella facoltà di economia e direttore del dipartimento di scienze dell’economia e della gestione aziendale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, “il rimedio più significativo è rappresentato dagli
investimenti in fondi di private equity e venture capital”. Certo, in quest’ultimo caso, è da sottolineare il problema del taglio minimo degli investimenti. “Non ci sono limiti per gli strumenti tradizionali, come le azioni delle imprese quotate in Borsa e le obbligazioni emesse dalle aziende. Analogamente, i pir non presentano delle soglie di accesso che possano spaventare i piccoli risparmiatori, e su Aim Italia (il mercato di Borsa Italiana dedicato alle pmi dinamiche e competitive,
ndr) si può investire con pochi euro – spiega Oriani – Quanto ai fondi di
private equity, invece, in Italia, soprattutto all’inizio, si evidenziavano tagli minimi di accesso significativi, nell’ordine di 100mila euro. Negli ultimi mesi, però, tali soglie si stanno riducendo parecchio e le masse ad essi indirizzate dai risparmiatori italiani sono in crescita e lo saranno ancora in futuro in maniera assolutamente significativa”.
Secondo l’esperto, tuttavia, più le soglie si abbassano, più tali strumenti diventano meno esclusivi. I fondi di private equity, spiega, tendono infatti ad avere tagli minimi elevati perché rivolti a investitori istituzionali, quindi soggetti professionali o clienti abbienti ai quali “si intende proporre uno strumento che non sia alla portata di tutti”. Storicamente, aggiunge, “investivano in questi fondi principalmente i clienti hnwi (high net worth individual), con una ricchezza netta significativa. Ma oggi c’è una proliferazione di strumenti con tagli più piccoli, fino a 5mila euro, che prefigurano un mercato potenziale aperto anche ai retail, rendendone più democratico l’accesso”.
Ma qual è il rischio per gli intermediari? “Rischi non ce ne sono, ma dipende da quale tipologia di clientela intendono raggiungere. È chiaro che per una banca che opera al dettaglio, con molte filiali e sportelli, può essere opportuno disporre di uno strumento al dettaglio, con un taglio minimo più basso. Meno per una boutique o una realtà specializzata con una clientela elitaria”, precisa Oriani. Poi conclude: “Non bisogna cadere però nel rischio di credere che solo le piccole realtà possano aiutare l’economia reale. Ognuna deve farlo, ma nella misura a essa congeniale”.
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