All’evento organizzato da Consultique si è confermata l’impressione che la consulenza finanziaria indipendente sia sempre più ricettiva alle richieste dei clienti sulle criptovalute
Una rappresentazione visiva di come le criptovalute siano entrate nella prassi della gestione patrimoniale sembra quasi di scorgerla un piccolo dettaglio, immerso nel viavai del FeeOnly Summit di Verona, l’evento annuale della consulenza finanziaria autonoma. Nello spazio dedicato agli espositori, ai lati dello stand di una società che si occupa di investimenti in oro, si ne trovano due occupati da società che offrono servizi crypto. Viene naturale pensare che questo accostamento dell’oro fisico ai promotori dell’ “oro digitale” non sia stato frutto del caso. Comunque la si pensi (i difensori dell’oro tradizionale, lo sappiamo, non saranno contenti del parallelo) l’evento veronese ha confermato l’impressione che la consulenza finanziaria indipendente sia sempre più ricettiva alle richieste dei clienti sulle criptovalute.
A susseguirsi sul palco del Summit, infatti, sono state numerose presentazioni di prodotti e servizi basati su criptovalute, siano essi exchange-traded product o servizi di custodia per gli investitori che preferiscono il possesso diretto dell’asset digitale. Un invito, quello delle società crypto, che qualche anno fa avrebbe potuto suscitare sospetto e biasimo, perché sul futuro a lungo termine di un universo dominato dalla speculazione a breve termine pochi consulenti si sarebbero giocati la loro credibilità.
La linea aperturista è stata confermata, fra gli altri da Rocco Probo, membro dell’ufficio studi e ricerche di Consultique Scf che, nel corso di una tavola rotonda interamente dedicata al tema delle criptovalute ha confermato come la consulenza si concentri ormai sulle modalità dell’investimento, sullo studio delle correlazioni con le altre asset class. Di fatto, ciò indica la disponibilità ad inserire l’asset digitale nel portafoglio del cliente. Le cautele, come prevedibile, sono stato un po’ meno marcate fra gli attori attivi nel settore. “E’ ormai impossibile non considerare le criptovalute”, ha dichiarato Diego D’Aquilio, ceo e co-founder di Anubi digital, una società che offre servizi di custodia e staking di criptovalute. “Stare completamente fuori dal Bitcoin oggi è tanto folle, quanto lo sarebbe investirci addirittura il 50% del patrimonio”, ha affermato Ferdinando Ametrano, ceo e co-founder di CheckSig, anch’essa specializzata in custody.
La logica che sorregge l’investimento in criptovalute a lungo termine rimane quella della diversificazione con una moderata allocazione di portafoglio. Lo scopo non è la mera speculazione a breve termine, che accomuna la gran parte dei piccoli investitori. Questo approccio di lungo termine impone una selezione accurata in origine, perché nel marasma delle criptovalute disponibili solo una piccola percentuale resteranno in piedi, ha messo in chiaro D’Aquilio. Di parere analogo anche Ametrano, la cui storica preferenza è sempre stata per il Bitcoin, che vede nella sua scarsità “programmata” una delle più comuni analogie con l’oro e una delle ragioni che dovrebbe giustificarne una tendenziale rivalutazione a lungo termine (la domanda cresce più velocemente dell’offerta).
Criptovaluta: acquisto diretto o tramite prodotti quotati
Una volta che si decide di esporsi al mondo crypto, conviene acquistare direttamente Bitcoin ed Ether, oppure le rispettive alternative in fondi Exchange-traded? Directa Sim, anch’essa presente al panel dedicato al tema, propende per la seconda soluzione, ossia l’investimento in crypto indiretto tramite prodotti quotati. Questa opzione, infatti, solleva i consulenti finanziari dall’onere di doversi preoccupare del rischio di furti e frodi informatiche. Per chi non ha famigliarità con exchange, wallet e sicurezza l’idea di pagare le commissioni di gestione su prodotti di tipo più tradizionale potrebbe essere giustificata.
Anubi digital e CheckSig, rivendicano i vantaggi del possesso diretto, citando la sicurezza che le due società si propongono di offrire, pur con sensibili differenze. Anubi offre, su richiesta del cliente, la possibilità di fare staking, ossia di generare rendimento sfruttando le opportunità della finanza decentralizzata “mettendo al lavoro” gli asset digitali (sostanzialmente fornendo liquidità a un sistema di finanza parallelo e non regolamentato). Al contrario, CheckSig sottolinea le prassi di trasparenza e sicurezza del suo servizio tramite il controllo indipendente di Deloitte e la mobilitazione periodica “on-chain” che garantisce il possesso delle criptovalute in custodia. Secondo Rocco Probo di Consultique, “è la relazione con il cliente” a definire di volta in volta la preferenza per il prodotto quotato o il possesso diretto – non c’è stata una presa di posizione chiara per l’una o per l’altra soluzione.
Attenti alle sirene della DeFi
Le numerose domande dal pubblico hanno confermato come l’interesse stia crescendo anche verso soluzioni più innovative, come lo staking di criptovalute. “Lo staking di una stablecoin va bene per difersificare, se mi dà il 7%?”, è stato uno degli interrogativi giunti dalla platea. Su questo genere di rendimenti, neanche i fornitori di servizi cripto si sono sentiti di dare il loro “via libera”.
Ametrano ha ricordato le recenti truffe sul modello Ponzi che hanno colpito Terra Luna ed evocato prudenza negli investimenti che non si comprendono fino in fondo. Anche D’Aquilio, la cui società offre la possibilità di fare staking, ha tuttavia invitato a diffidare di rendimenti troppo elevati. In un confronto con We Wealth, in cui è stato possibile entrare un po’ più nel dettaglio della materia, il fondatore di Anubi digital ha sottolineato come a seconda della tipologia di staking ci si possano ragionevolmente aspettare rendimenti diversi: il caso dello staking di una singola stablecoin dovrebbe essere uno dei meno rischiosi e, pertanto, un rendimento del 7% sarebbe fuori scala. L’insegnamento da portare a casa è che la valutazione dei profili di rischio e rendimento nel mondo della finanza decentralizzata richiedono uno studio aggiuntivo importante, anche perché la supervisione regolamentare in questo mondo ancora non c’è.