Il diritto tributario si trova costantemente a dover inseguire i progressi tecnologici e spesso risulta in ritardo rispetto alle nuove sfide. L’avvento di imprese globali, digitali e sempre più orientate all’immaterialità ha reso obsoleti i sistemi fiscali progettati nel secolo scorso. Nel contesto del diritto tributario, è fondamentale ripensare i modelli di tassazione in modo da riconoscere l’importanza delle nuove forme di ricchezza generate dalle tecnologie avanzate, dalla robotica, dall’intelligenza artificiale e dagli investimenti immateriali.
La normativa internazionale e quella legislativa interna sulle crypto-attività
In ambito internazionale, diversi interventi normativi si sono succeduti negli ultimi due anni e molti altri sono in cantiere. Peraltro, l’Unione europea si conferma nel ruolo di battistrada e possibile modello per gli altri paesi in campo regolamentare. Da segnalare, il recentissimo via libera definitivo alle norme per regolamentare il mercato dei crypto-asset (regolamento Mica), che prevedono principi comuni in materia di vigilanza, trasparenza e informativa.
Sul fronte legislativo tributario interno, invece, si sono registrati invece anni di incomprensibile immobilismo. Tanto che il disegno di legge presentato in Senato su iniziativa della senatrice Botto sulla tassazione delle criptovalute, che era comunque ben lontano dal contenere un intervento organico e completo, era stato accolto con un certo entusiasmo e come il segno che qualcosa cominciava a muoversi intorno alla qualificazione giuridica e, soprattutto, al trattamento tributario delle valute virtuali.
In assenza di un sostrato legislativo solido, sinora l’Agenzia delle entrate ha elaborato alcune soluzioni facendo seguito alle domande dei contribuenti proposte nelle istanze di interpello. Ne è risultato un quadro estremamente frammentato, privo di una cornice sistematica e pieno di forzature. D’altra parte è complicato applicare (rectius adattare) il diritto vigente, che è probabilmente ancora lontano anni luce dal contemplare i nuovi fenomeni dell’economia virtuale, a fattispecie nuove, tecnicamente complesse e soprattutto multiformi che a ritmo incessante si vanno via via presentando sui tavoli della amministrazione finanziaria.
In particolare, in assenza di un framework legislativo di riferimento in materia di tassazione del genus delle crypto-attività, il vuoto normativo è stato negli ultimi anni solo parzialmente colmato dall’amministrazione finanziaria che nelle risposte ad alcuni interpelli presentati dai contribuenti ha riservato particolare attenzione (anche in ragione della loro maggiore diffusione) alla specie delle criptovalute. In particolare, l’Agenzia ha operato, sinora, una equiparazione sul piano tributario delle valute virtuali alla categoria delle valute estere disciplinate dall’art. 67, comma 1, lett. da c-ter) a c-quinquies) del Tuir.
Su tali basi, il trattamento fiscale applicabile alle criptovalute detenute da persone fisiche non imprenditori è dunque stato determinato applicando analogicamente i principi generali che regolano le operazioni aventi a oggetto valute tradizionali, con la conseguenza che i redditi derivanti da criptovalute potevano assumere, a seconda dei casi, natura di redditi di capitale ovvero di redditi diversi di natura finanziaria nelle stesse ipotesi previste per i redditi derivanti da valute estere, rispettivamente, dall’art. 44 del Tuir e dalle lett. c-ter), c-quater) e c-quinquies), dell’art. 67, comma 1, del medesimo testo unico.
In questo contesto è da accogliere, dunque, con favore la legge di bilancio per l’anno 2023 (L. n. 197/2022), approvata lo scorso 31 dicembre, che introduce una prima disciplina fiscale delle crypto-attività. Ai commi 126-147 dell’art. 1 della legge di bilancio, sono previste infatti alcune disposizioni che contengono un autonomo inquadramento dei crypto-asset ai fini fiscali, i quali vengono inclusi in modo esplicito all’interno del quadro impositivo codificato dal Tuir (Dpr n. 917/1986). Nonostante il tentativo apprezzabile, sono diverse le criticità da chiarire e le lacune da colmare.
La complicata definizione di crypto-asset
Nella legge di bilancio viene introdotta, mediante la riforma dell’art. 67 del Tuir, una definizione generale di crypto-attività, tale essendo “una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga”. Rispetto al Ddl Botto, la nuova normativa contenuta nella legge di bilancio attua peraltro la separazione del concetto di criptovaluta da quello di valuta estera adottato in via interpretativa dall’AdE. Certamente l’adozione della definizione ampia di crypto-attività, anziché di quella ben più limitata di criptovaluta, consente sin da subito di adeguare la disciplina domestica alle disposizioni di matrice comunitaria, con l’obiettivo di applicare la disciplina non solo alle criptovalute, ma anche alle numerose altre categorie di crypto-asset (tra cui utility, security e non-fungible token) che finirebbero altrimenti per rimanere prive di qualsiasi inquadramento ai fini tributari. La definizione ampia delle crypto-attività può rappresentare tuttavia una sfida dal punto di vista fiscale, in quanto coinvolgerebbe una vasta gamma di strumenti diversi, codificati sulla blockchain e con funzioni molto diverse tra loro, dovuta alla difficoltà nell’applicare una tassazione adeguata e mirata a ciascun tipo di crypto-attività.
Il trattamento delle plusvalenze da trading di crypto-attività
Sulla base della citata definizione, la legge di bilancio ha disciplinato la tassazione delle plusvalenze e degli altri proventi derivanti da trading di crypto-asset da parte di persone fisiche non esercenti attività di impresa. Per la tassazione di tale fattispecie, veniva precedentemente applicato l’art. 67, comma c-ter del Tuir, relativo ai redditi diversi, sempre in ragione della fictio iuris adottata dall’Agenzia delle entrate tra criptovalute e valute estere. Nella nuova lettera c-sexies dell’art. 67 si prevede una fattispecie reddituale ad hoc per le plusvalenze derivanti dalle cessioni di crypto-asset pari o superiori a 2 mila euro. Con tale modifica, la tassazione delle crypto-attività non è più rintracciabile nella (insoddisfacente) equiparazione, resa in via interpretativa dall’amministrazione finanziaria, alle valute aventi corso legale, ma viene appunto prevista una nuova fattispecie autonoma tra i redditi diversi di natura finanziaria. Inoltre, sono considerate, in linea generale, fiscalmente irrilevanti le permute crypto to crypto (come, cessioni senza la conversione in una valuta avente corso legale).
Va precisato però che la generica irrilevanza fiscale delle permute effettuate tra due crypto-attività si applica solo in caso in cui le crypto-attività permutate possiedano “le medesime caratteristiche e funzioni”. Non è ben chiaro cosa voglia intendere il legislatore con tale formulazione. Ad ogni modo, questo inciso sembra essere il grimaldello, in caso la crypto-attività ottenuta a seguito della permuta non abbia le “medesime” caratteristiche di quella permutata, per esigere la possibile tassazione di tali operazioni. Tale fattispecie si fonderebbe su un presupposto impositivo di difficile configurazione, e creerà problemi nello stabilire le modalità di calcolo della relativa plusvalenza, in quanto i valori delle due crypto-attività alla data della permuta sarebbero privi di un preciso ed affidabile parametro oggettivo, posto che attualmente non esiste un mercato regolamentato di riferimento.
La determinazione delle plusvalenze derivanti da operazioni su crypto-asset
Le plusvalenze derivanti da operazioni su crypto-asset sono assoggettate all’imposta sostitutiva sulle plusvalenze finanziarie pari al 26%, di cui al D.lgs. n. 461/1996. Ai sensi del nuovo comma 9-bis dell’art. 68 del Tuir, l’ammontare delle plusvalenze è determinato in base alla differenza tra il corrispettivo percepito, o il valore normale dell’attività permutata, ed il costo o il valore di acquisto delle stesse. La norma stabilisce anche che tale costo o valore deve essere documentato con elementi certi e precisi a cura del contribuente; in mancanza lo stesso si assume pari a zero.
Inoltre, viene esteso anche agli investimenti in crypto-asset l’esercizio dell’opzione per il regime del risparmio amministrato e del risparmio gestito (artt. 6 e 7 del D.lgs. n. 461/1997). In tali circostanze, saranno gli intermediari abilitati che gestiscono la posizione patrimoniale dell’investitore a determinare l’eventuale plusvalenza e ad applicare l’imposta. La determinazione della base imponibile, anche nelle ipotesi di opzione per i suddetti regimi, è tuttavia resa difficoltosa dall’assenza di informazioni puntuali riguardo le movimentazioni finanziarie legate alle crypto-attività.
Poi, ai fini del calcolo delle plusvalenze e minusvalenze, è consentito utilizzare il valore corrente delle crypto-attività possedute alla data del 1° gennaio 2023, in luogo del loro valore di acquisto, a condizione che il predetto valore venga assoggettato a una imposta sostitutiva, nella misura del 14%. Si tratta, in sostanza, di una rivalutazione onerosa delle crypto-attività, al pari di quanto disposto dalla medesima legge di bilancio per le partecipazioni societarie.
Plusvalenze e minusvalenze ante 2023
Le disposizioni menzionate sono entrate in vigore a partire dal 1° gennaio 2023. Tuttavia, secondo l’art. 1, comma 127, della legge di bilancio, le plusvalenze su crypto-attività ottenute prima di tale data sono considerate “redditi diversi” ai sensi dell’art. 67 del Tuir. La determinazione della plusvalenza sarà effettuata sulla base dei proventi derivanti, tra l’altro, dalla vendita di valute estere, ai sensi dell’art. 68, comma 6. Al contrario, le minusvalenze registrate prima del 1° gennaio 2023 potranno essere compensate anche con plusvalenze non derivanti da operazioni su crypto-asset (ad esempio, la vendita di partecipazioni), ai sensi dell’art. 68, comma 5, del Tuir. L’intenzione del legislatore sembra essere quella di regolamentare ora per allora le operazioni avvenute nel periodo precedente l’entrata in vigore della nuova disciplina attraverso l’istituzione di un regime ad hoc. La disposizione normativa, di non facile inquadramento, sembra dunque avere efficacia retroattiva, il che suscita perplessità sulla sua legittimità. Non risulta infatti una deroga esplicita al principio di irretroattività previsto dallo Statuto del contribuente.
Il monitoraggio fiscale e le imposte sui valori delle crypto-attività
In assenza di una normativa specifica, gli obblighi di dichiarazione delle crypto-attività detenute si basavano, sino ad oggi, sulle indicazioni fornite in via interpretativa dall’amministrazione finanziaria, che aveva previsto, per le persone fisiche non esercenti attività di impresa, l’obbligo di dichiarare nel quadro Rw del modello redditi i valori delle crypto-attività detenute nel corso o al termine del periodo d’imposta, per i quali, tuttavia, non era dovuta l’Ivafe.
La legge di bilancio ha apportato modifiche alla disciplina di cui al D.L. n. 167/1990, introducendo un obbligo di legge circa il monitoraggio delle crypto-attività detenute presso piattaforme e intermediari non residenti o wallet digitali. Inoltre, viene previsto per i medesimi asset l’applicazione di una imposta di bollo o di una “imposta sul valore delle crypto-attività” (che rimanda alle norme sull’Ivafe), entrambe in misura pari al 2 per mille.
Nulla si prevede, tuttavia, con riferimento al valore delle crypto-attività da indicare nel quadro Rw. Pertanto, occorre chiarire se sia da utilizzare il valore di mercato, in continuità con la precedente prassi dell’Agenzia delle entrate, o il costo di acquisto, anche in ragione dell’assenza di una regolamentazione del mercato di settore (aspetto di particolare rilevanza considerato che in caso di errori od omissioni, il regime sanzionatorio è proporzionale ai valori non correttamente indicati o omessi). Nel disegno di legge “Botto”, in discontinuità rispetto all’orientamento delle Entrate (contenuto nelle istruzioni ministeriali alla compilazione del citato quadro dichiarativo), veniva previsto (opportunamente) che i valori avrebbero dovuto essere indicati al costo storico e non al valore di mercato proprio per evitare l’applicazione di sanzioni dovute alla obiettiva difficoltà di individuare il valore di mercato in maniera puntuale e verificabile.
Quale possibile intervento correttivo da apportare in itinere, è auspicabile la previsione di una specifica causa di esonero dalla compilazione del quadro Rw in caso di detenzione di valute virtuali tramite wallet provider esteri con operatività nel territorio dello Stato – che, come tali, sono già inclusi nel novero dei soggetti “monitoranti” e che, nel contesto del registro Oam, saranno sempre più coinvolti nello scambio di informazioni (anche) con l’amministrazione finanziaria.
Il contribuente ha peraltro facoltà, mediante apposita istanza, di sanare il mancato assolvimento degli obblighi di monitoraggio per gli anni di imposta precedenti, versando lo 0,5% del valore delle crypto-attività non dichiarate per ogni annualità, nonché il mancato versamento delle relative imposte dovute sui realizzi di tali attività, versando il 3,5% del valore delle crypto-attività detenute al termine di ogni anno o al momento del realizzo. Tali sanatorie mirano a regolarizzare violazioni commesse in anni passati come conseguenza delle interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate, in quanto al momento della loro commissione non sussisteva un obbligo di legge.
Sarebbe comunque ragionevole invocare in favore del contribuente la disapplicazione delle sanzioni tributarie comminate per le omissioni relative agli esercizi precedenti l’entrata in vigore dell’obbligo di legge, richiamando le garanzie dello Statuto del contribuente, alla luce delle evidenti incertezze che hanno interessato la specifica materia in questi anni.
Le lacune ancora da colmare
Il nuovo quadro impositivo relativo ai crypto-asset rappresenta un passo in avanti deciso ma continua a presentare dubbi circa la sua concreta applicazione. In particolare, la scelta di raggruppare tutte le diverse tipologie di crypto-asset sotto una definizione generale potrebbe comportare una errata classificazione fiscale di quegli strumenti non legati a un sottostante finanziario, come gli NFT sulle opere d’arte. In tal caso, le plusvalenze conseguite sarebbero erroneamente considerate “redditi diversi di natura finanziaria” e tassate come tali, mediante l’applicazione dell’imposta sostitutiva, anziché soggiacere (più opportunamente) alle regole fiscali ordinariamente applicabili alle cessioni di opere d’arte che, come noto, a certe condizioni non scontano tassazione.
In aggiunta a quanto detto, la nuova normativa non fornisce una guida chiara per i soggetti che operano in regime di impresa. Anche a seguito dell’approvazione della legge di bilancio, rimangono infatti ancora senza una disciplina sistematica i profili tributari dei crypto-asset nell’ambito dell’attività di impresa. L’unica disposizione introdotta in materia di IRES e IRAP prevede che componenti positivi e negativi, risultanti dalla valutazione delle crypto-attività, non concorrono alla formazione del reddito imponibile della società, a prescindere dall’imputazione al conto economico.
È peraltro fondamentale l’introduzione anche di una puntuale disciplina IVA degli scambi di crypto-asset. La legge di bilancio attuale non affronta in modo adeguato questo tema, che dovrebbe trovare opportuna disciplina prioritariamente in sede comunitaria, lasciando molti dubbi su come applicare l’IVA alle diverse tipologie di token (currency, utility, security e non fungible token) e se sia possibile applicare l’esenzione IVA e in quali condizioni farlo.
(Articolo scritto in collaborazione con Eduardo Barone, Gattai, Minoli, Partners)
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