Il direct indexing è un approccio per ora riservato ai clienti assai facoltosi: permette di replicare un indice attraverso l’acquisto diretto delle sue singole componenti, con una serie di vantaggi rispetto a un Etf – anche in termini di performance
Vanguard, BlackRock e Morgan Stanley si sono aggiudicate alcune società di investimento specializzate in questo approccio, con l’obiettivo di democratizzare l’indicizzazione diretta
Stiamo parlando di un approccio finora riservato a una clientela estremamente facoltosa, che consiste nella costruzione di un portafoglio in grado di replicare un indice attraverso l’acquisto diretto dei singoli titoli che lo compongono. A differenza di un index fund o di un Etf, l’investitore non acquista un “pacchetto completo” sotto forma di un fondo comune d’investimento, ma si espone direttamente al paniere di azioni desiderato.
Il direct indexing permette, così, un elevato grado di personalizzazione per il cliente, il quale può decidere, ad esempio, di escludere o aggiungere questa o quella società dal suo indice di riferimento. Questa opportunità diventa particolarmente interessante per gli investitori che incorporano valutazioni di tipo etico alle proprie scelte di investimento.
Inoltre, grazie alla “scomposizione” dell’indice, è possibile ottimizzare il carico fiscale sfruttando eventuali minusvalenze registrate da singoli titoli – opzione percorribile con un fondo solo nel caso quest’ultimo vada “in rosso” nel suo complesso. Secondo un report della società di ricerca Celent la capacità di compensare fiscalmente le perdite dei singoli titoli permetterebbe a un portafoglio di direct indexing di generare una performance aggiuntiva dell’1-2% annuo rispetto a un Etf paragonabile o a un fondo comune.
Sul fronte dei costi, l’indicizzazione diretta può risultare inefficiente qualora, per operare modifiche al portafoglio, i costi di transazione collegati al trading di ampi pacchetti di azioni arrivino a superare, ad esempio, gli oneri di un fondo indicizzato – questo aspetto negativo tende a ridursi quanto più sarà consistente l’investimento complessivo.
Con l’acquisizione di Just Invest (il cui valore non è stato diffuso), Vanguard punta ad offrire ai suoi clienti “la capacità di personalizzare i portafogli di investimento in modo da riflettere i valori degli investitori, gli obiettivi finanziari e le esigenze di recupero delle perdite fiscali”. Secondo il ceo della società pioniera degli Etf , Tim Buckley, “le soluzioni guidate dalla tecnologia come l’indicizzazione diretta continuano a rimodellare il nostro settore, portando a migliori risultati di investimento e riducendo i costi per i clienti”.
La sfida di questi grossi nomi è rendere l’indicizzazione diretta accessibile, anche in termini di costi, al grande pubblico. Per la sua natura di replica “passiva” di un indice, questa tecnologia entrerebbe in competizione diretta con Etf e index fund, erodendone parte dell’appeal esattamente come questi ultimi hanno fatto, negli ultimi anni, nei confronti dei fondi a gestione attiva. Anche per questo i grossi gestori si stanno posizionando in anticipo. Prima che il direct indexing diventi un’opzione concreta per clientela al dettaglio, infatti, passerà ancora diverso tempo.
Secondo Timo Pfeiffer, chief markets officer di Solactive, un fornitore di indici tedesco, l’arrivo dell’indicizzazione diretta nel mainstream avverrà negli Usa entro i prossimi due anni, attesa che salirà a cinque anni per l’Europa. “Si inizierà con le grandi istituzioni, i fondi pensione, i grandi patrimoni” da almeno 5 milioni di dollari, “ma alla fine tale soglia scenderà e saremo in grado di farlo dal nostro cellulare”, aveva detto al Financial Times lo scorso febbraio. Per le società specializzate in Etf, concludeva Pfeiffer, tralasciare il direct indexing significherà essere “superati da tutte le direzioni”.