Ma forse la materia più interessante per la futura memoria di questa crisi è ancora un’altra. Come hanno reagito le polis dei diversi Paesi a questa crisi? Non parliamo solo delle diverse risposte sanitarie, delle chiusure, delle riaperture, delle restrizioni e degli allentamenti, delle ospedalizzazioni e delle vaccinazioni. Parliamo della risposta delle istituzioni e della società. Perché ci sono Paesi che hanno reagito meglio e altri che hanno reagito peggio? Quali sono i fattori che hanno permesso a una nazione di circoscrivere la crisi e quali sono le cause degli insuccessi di altre nazioni?
Cominciamo da un interessante rapporto uscito nel 2019, appena prima del debordo della crisi. Il “Global Health Security Index” (Ghs) è un Progetto promosso dalla “Nuclear Threat I-nitiative (Nti)” e dal “Johns Hopkins Center for Health Security (Jhu)”, e materialmente redatto dalla “Economist Intelligence Unit (Eiu)”. Il Ghs analizzava (profeticamente, ma, come vedremo, senza il senno di poi) quali Paesi fossero meglio posizionati in caso di pandemia.
Ebbene, un recente studio del Peterson Institute of International economics (Why some experts got pandemic readiness wrong, di Cullen S. Hendrix) confronta le conclusioni di quel rapporto (che stilava, come detto, una Hit Parade dei Paesi meglio preparati ad affrontare gli attentati alla salute dei cittadini) con la realtà post-virus. Ebbene, conclude l’autore, non c’è stata nessuna correlazione fra quei posizionamenti e i risultati nel contrasto al-la Sars-Cov-19. Erano state ignorate le variabili della leadership politica e della coesione sociale, che influenza l’obbedienza alle restrizioni. Due variabili che non sono nuove, ma che non erano state sufficientemente studiate.
Il rapporto sul Ghs si valeva delle opinioni di esperti di sanità, da medici a operatori sanitari, a epidemiologhi, e a questi erano state poste le domande giuste e da questi erano venute risposte sensate. Ma, come ha osservato sul «Scientific American» Naomi Oreskes (insegna Storia della scienza ad Harvard) non erano le domande e le risposte ad essere sbagliate. Lo sbaglio stava nella scelta degli esperti. Non bisognava coinvolgere solo studiosi di sanità, ma anche sociologi, politologi, psicologi. Ecco una sterminata materia di studio, interdisciplinare e affascinante.