Il fenomeno è in continua espansione: il 15 febbraio, del resto, ha preso avvio la eSerie A Tim, la seconda stagione della versione digitale del campionato italiano di calcio.
Vi sono, però, una molteplicità di problemi: se da un lato manca una regolamentazione compiuta della categoria, tanto è che le federazioni sportive, nazionali e internazionali, discutono se attribuire agli eSports il riconoscimento quali discipline sportive ufficiali, considerata l’abitualità e l’intensità degli allenamenti, dall’altro, le Amministrazioni finanziarie degli Stati si interrogano su come assoggettare a imposizione i redditi derivanti da dette attività, tra cui vi sono i proventi derivanti dallo sfruttamento dell’immagine del gamer.
Come è noto, lo sport professionistico è disciplinato dalla Legge del 23 marzo 1981, n. 91, rubricata “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”, che regola in modo organico tale ambito. Secondo la normativa, l’attività svolta dagli sportivi genera, normalmente, reddito da lavoro dipendente o, in alcuni casi, reddito da lavoro autonomo.
Dette norme, tuttavia, non appaiono facilmente estensibili agli eSports, posta la stretta sussistenza di determinati requisiti “fisici” non presenti nella versione digitale delle discipline sportive.
Ai fini della tassazione, dunque, occorrerà innanzitutto verificare se il gamer sia fiscalmente residente in Italia, con ciò che ne consegue in termini di accertamento del “centro vitale degli interessi”; in secondo luogo, bisognerà accertare se l’attività venga svolta in modo occasionale o in via abituale/professionale: nel primo caso si potrà evitare di aprire una posizione Iva con attribuzione di un numero identificativo, mentre nel secondo caso i compensi potrebbero rientrare nell’ambito dei redditi da lavoro autonomo. Laddove vi sia un team organizzato e sussista un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, gli emolumenti percepiti rientrerebbero in detta categoria.
La tematica più delicata è quella connessa allo sfruttamento dei diritti d’immagine: i gamers ben potrebbero recepire dei compensi per lo sfruttamento economico della propria immagine, come accade con le sponsorizzazioni.
Si ritiene che se il gamer dovesse utilizzare la sua immagine per promuovere un determinato prodotto, si ritengono applicabili le categorie tradizionali, qualificando i redditi come di lavoro autonomo o diversi.
Tale ultima categoria, ad esempio, può ricorrere quando i diritti di immagine non siano connesi al gamer, ma al suo avatar, ossia all’immagine digitale.
La categoria degli eSports, dunque, presenta delle tematiche e dei tratti del tutto peculiari che in assenza di una compiuta regolamentazione generano delle incertezze applicative e interpretative: se si vuole promuovere un settore in forte espansione, che si pensa che porterà addirittura a un giro d’affari di 1,59 miliardi di dollari nel 2023, è necessario introdurre delle regole certe che eliminino interpretazioni errate o pretestuose, al fine di assicurare la certezza per gli operatori.