Gentiloni: “Le iniziative che abbiamo intrapreso hanno ridotto il rischio di bancarotta e insolvenza delle aziende. Se non ci fossero state, il 23% delle imprese europee avrebbero sofferto di problemi di liquidità”
Secondo il presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe, il modo in cui si incoraggerà “la crescita dell’occupazione e dell’economia” rappresenterà un “elemento vitale alla base di una ripresa sostenibile”
L’ultima rilevazione dell’Osservatorio npe realizzato da Cribis Credit Management rivela che il 77% dei crediti deteriorati presenti sul mercato nel 2020 risultava imputabile alle società non finanziarie
Confesercenti: solo lo scorso anno hanno perso la propria occupazione 208mila autonomi. Servono sostegni efficaci per evitare che le attività continuino a chiudere. Circa 450mila imprese rischiano di sparire
Secondo Gentiloni bisognerà muoversi lungo tre direttrici. Innanzitutto, come anticipato, “passare dall’attuale approccio indifferenziato ad azioni più mirate, con una distinzione tra società economicamente sostenibili e quelle non sostenibili”. Una definizione che, avverte, “non sarà facile in alcuni settori”. In secondo luogo, bisognerà “facilitare una diversificazione del finanziamento di queste imprese, preservando un canale di credito efficace specialmente per le più piccole”. E, infine, organizzare un’uscita ordinata dal mercato per le aziende meno efficienti e in salute.
Lo stato di salute delle imprese italiane
Spostandoci sul fronte italiano, stando all’ultima rilevazione dell’Osservatorio npe di Cribis Credit Management (società del Gruppo Crif specializzata nella gestione in outsourcing dei processi di collection e di npl management, ndr), il 77% dei crediti deteriorati presenti sul mercato nel 2020 risultava imputabile alle società non finanziarie, con uno stock in netta contrazione rispetto al mese di dicembre 2015, legato principalmente alla riduzione delle sofferenze. Alle famiglie produttrici (imprese individuali e società semplici), invece, è imputabile l’8% dello stock di crediti deteriorati e il restante 15% è riferibile ai privati consumatori.
“Per altro, quasi la metà delle imprese italiane si è trovata ad affrontare lo shock causato dalla pandemia partendo da situazioni di liquidità già delicate”, continua Liuti. “Nello specifico, il 38% delle aziende si caratterizzava per una disponibilità di cassa in grado di coprire meno del 50% dei debiti finanziari a breve termine in scadenza, cui si aggiunge un ulteriore 8% di imprese senza particolari margini di manovra”. Per non dimenticare, infine, i ritardi nei pagamenti commerciali, che hanno finito per acuire le tensioni sul fronte della liquidità: il 12,8% delle imprese italiane ha saldato i propri fornitori nel 2020 con oltre 30 giorni di ritardo (un dato superiore del 21,9% rispetto al 2019 e più che raddoppiato rispetto al 2010), cui va aggiunta una quota superiore al 50% che riporta ritardi inferiori al mese.
Decreto ristori 5: a che punto siamo?
Resta dunque acceso il faro sul decreto ristori cinque, uno dei primi provvedimenti attesi sul tavolo del governo Draghi. Intanto, non si lascia attendere il monito di Confesercenti che, in occasione dell’incontro tra il ministro del Lavoro Andrea Orlando e le parti sociali, ha ribadito come 450mila imprese rischino di sparire a causa della pandemia. “Il contesto economico e sociale post-covid determinerà profondi mutamenti nel lavoro e nei consumi”, spiega la presidente Patrizia De Luise. Poi conclude: “Sarà necessario investire sulle competenze professionali, oltre che su un processo di modernizzazione e razionalizzazione del sistema degli ammortizzatori sociali, senza però stravolgere gli strumenti che hanno risposto meglio durante le difficoltà. Ma servono subito anche sostegni efficaci per evitare che le attività continuino a chiudere”.