Gli sforzi delle organizzazioni internazionali sono ancora insufficienti per ridurre le frodi fiscali, il riciclaggio di denaro in paesi offshore e il trasferimento di capitali in giurisdizioni a fiscalità agevolata
La recente inchiesta denominata Pandora Papers ricorda che combattere i fenomeni di abuso fiscale è una priorità dell’Unione europea
E invece, più che gli aspetti, per così dire, sensazionalistici relativi alle rivelazioni contenute nelle indagini, ciò che dovrebbe colpire è la sistematicità di questi fenomeni: non si tratta, infatti, di episodi che a ondate sporadiche si manifestano nella società. Si tratta, piuttosto, di meccanismi rodati e imperituri che, con o senza l’attenzione dei mezzi di comunicazione e delle autorità giudiziarie, si manifestano nell’ombra.
Le indagini, da ultimo quelle di Pandora Papers, più che stupore, devono accendere interrogativi: in buona sostanza, devono indurre i contribuenti a interrogarsi sull’importanza che riveste nella nostra società la lotta all’evasione fiscale. L’attenzione andrebbe, pertanto, orientata non già sulla singola inchiesta – che nulla (o poco) dice sulle patologie più profonde dei sistemi fiscali – ma sul contesto generale che, nei fatti, tollera e consente queste stesse criticità.
Problematizzare e contestualizzare le inchieste significa non fermarsi in superficie e cercare di comprendere, in ottica prospettica, quali sono gli sforzi internazionali che è necessario sopportare per tentare di interrompere, o quanto meno ridurre, questi fenomeni, stante il fatto che i tentativi attualmente posti in essere – come del resto dimostrano le inchieste stesse – appaiono insufficienti ad arginare le frodi fiscali, il riciclaggio di denaro in paesi offshore e il trasferimento di capitali in giurisdizioni a fiscalità agevolata offshore.
E invero, l’Eu Tax Observatory, think thank neo-istituito su iniziativa del Parlamento europeo, intende condurre ricerche in ambito fiscale, al fine di contribuire allo sviluppo di approfondimenti di spessore suggerendo iniziative che potrebbero aiutare a contrastare meglio l’evasione, l’elusione fiscale e la pianificazione fiscale aggressiva e, conseguentemente, mettere in comunicazione, su questi stessi temi, la comunità scientifica, la società civile e i responsabili delle politiche nell’Unione europea.
La nascita dell’Osservatorio Fiscale si pone nel solco della rinnovata politica dell’Ue di contrasto agli abusi fiscali e integra il percorso di riflessione della Commissione europea sul futuro della tassazione dell’Ue e sui meccanismi attraverso cui, in un mondo globalizzato, è possibile promuovere una tassazione più equa.
Tra le più recenti analisi dell’Eu Tax Observatory è opportuno, alla luce dell’argomento in esame, soffermare l’attenzione sul documento denominato European tax evasion in the light of the Pandora Papers.
Nel documento si mette in evidenza che l’Unione europea, benché formalmente sia in prima linea nella lotta alle condotte fiscali abusive, alimenta, indirettamente – attraverso le condotte di molti contribuenti degli Stati dell’Ue – questo fenomeno.
L’Europa, che come anticipato, è attore principale nella lotta all’evasione fiscale mondiale, è particolarmente colpita dalla pianificazione fiscale aggressiva internazionale.
Circa l’11% della sua ricchezza netta totale, ovvero 2.300 miliardi di euro, è infatti detenuta offshore. A titolo di confronto, questa cifra è equivalente al Pil della Francia.
Questo enorme flusso di capitale verso Stati offshore ripercuote le sue conseguenze negative in primo luogo sugli Stati dell’Unione, a fronte dell’ingente perdita di base imponibile e, in secondo luogo sui contribuenti, persone fisiche e imprese dell’Ue: l’evasione riduce le risorse economiche e la capacità di spesa pubblica di uno Stato. Questo fattore comporta che i contribuenti ricevono meno servizi dai Paesi in cui operano e, a loro volta, sono più propensi a replicare fenomeni evasivi.
Ma quali progressi sono stati fatti negli ultimi anni? Sono stati compiuti grandi sforzi per disincentivare il trasferimento di capitali verso paradisi fiscali. L’iniziativa più ambiziosa, sottolinea l’Osservatorio, è stata l’introduzione del sistema di scambio automatico delle informazioni bancarie, il “Common Reporting Standard”, in vigore dal 2017.
Questo meccanismo richiede agli istituti finanziari di segnalare l’identità dei propri clienti non residenti alle autorità fiscali in cui questi si trovano, nonché di riportare l’importo delle attività detenute e i guadagni percepiti da queste attività.
Eppure, come rivelano i Pandora Papers, sono ancora molti i nodi da sciogliere e i passi da compiere: la ricchezza offshore è spesso detenuta tramite società di comodo, i cui beneficiari effettivi sono talvolta non identificati.
Questa circostanza rende difficile ottemperare al dovere di comunicare alle autorità fiscali competenti le informazioni rilevanti sulle operazioni poste in essere. Inoltre, si è a conoscenza – benché in maniera incerta – dei flussi ma non della tipologia di beni trasferiti: vengono pubblicate le stime sugli investimenti in conti offshore ma non le informazioni sulla natura di questi beni e sui loro proprietari.
Quali strade occorre intraprendere per prospettare, nel breve o medio periodo, una maggiore trasparenza finanziaria? Ad avviso dell’Eu Tax Observatory, in primo luogo, andrebbero implementati meccanismi di tracciamento più efficaci della ricchezza finanziaria, sulla falsariga di quanto già fanno gli Stati per il settore immobiliare, con i registri e i catasti.
In altre parole, si potrebbe pensare di sviluppare un vero e proprio catasto finanziario, di respiro nazionale, europeo o globale.
In secondo luogo, è attraverso il sistema sanzionatorio che si possono conseguire maggiori risultati. Colpire con sanzioni più severe i fornitori di servizi che alimentano l’evasione fiscale (i consulenti che progettano gli schemi fraudolenti, gli istituti finanziari che non rispettano le normative internazionali, gli intermediari legali che facilitano la pianificazione aggressiva) permetterebbe di ridurre drasticamente queste attività.