Poiché la Global Mobility e il trasferimento dei lavoratori all’estero, mediante la formula della trasferta, del trasferimento o del distacco, implica numerose questioni di natura fiscale, occorre prestare attenzione alle insidie
Può rivelarsi utile programmare strategie fiscali che, in forza di una corretta applicazione e interpretazione della normativa internazionale, europea e nazionale a più livelli coinvolta, permettano di mettere in evidenza i rischi e le opportunità
Ebbene, benché la mobilità degli expatriates rappresenti un vantaggio per l’impresa che intende migliorare la propria posizione in un Paese straniero, è evidente che può rivelarsi un fenomeno complesso. Non solo perché crea una maggiore complessità nell’amministrazione del network aziendale, ma anche perché involge questioni di natura contrattuale, previdenziale e fiscale.
In particolare, occorre non sottovalutare le implicazioni fiscali correlate al tema degli expatriates in quanto – sia a livello corporate, che individuale per il lavoratore – richiedono un’applicazione coordinata delle normative a più livelli coinvolte.
Tralasciando gli aspetti tributari che l’inedito scenario pandemico ha fatto emergere, per soffermare l’attenzione sui principali profili caratterizzanti la disciplina fiscale degli expatriates, una questione primaria concerne la residenza fiscale.
Dai criteri che, in linea generale, governano le regole di tassazione dei redditi prodotti all’estero, in caso di mantenimento della residenza in Italia, si comprende che il tempo di permanenza all’estero del lavoratore dipendente è essenziale per determinare il luogo ove il reddito deve essere assoggettato ad imposta.
È bene notare che opererà una presunzione di residenza nel caso in cui il soggetto conservi in Italia un legame affettivo o abbia il proprio centro di interessi. Fino a prova contraria, inoltre, si presumono residenti in Italia i soggetti cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati nei cd. paradisi fiscali.
Il World Wide Taxation Principle, invece, rappresenta il principio in forza del quale, il cittadino italiano che lavora all’estero (non iscritto all’AIRE), sarà considerato fiscalmente residente in Italia e, conseguentemente, ivi avrà l’obbligo di pagare le imposte. Per i redditi ovunque prodotti.
Un altro aspetto da non sottovalutare è quello che attiene al fenomeno della doppia imposizione, che ricorre nell’ipotesi in cui il reddito prodotto all’estero, dal soggetto residente, sia tassato anche nel Paese della fonte.
Per arginare i rischi correlati a detto fenomeno è possibile ricorrere al credito d’imposta, previsto tanto dalla disciplina di cui all’art. 165 TUIR, quanto dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni (ove stipulate). Detto istituto, consente al contribuente di scomputare dalle imposte italiane le eventuali imposte pagate a titolo definitivo nel Paese ove è stato percepito il reddito. Il foreign tax credit non verrà riconosciuto, invece, in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte dei cittadini residenti in Italia e non iscritti all’AIRE.
Di particolare rilievo, soprattutto per il lavoratore distaccato all’estero, infine, è la questione che attiene alle retribuzioni convenzionali. L’art. 51 c. 8 bis TUIR prevede che se il soggetto residente in Italia è distaccato in via continuativa all’estero (per più di 183 giorni e nell’arco di 12 mesi), il reddito verrà determinato forfettariamente, sulla base di quanto definito annualmente dal Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Ebbene, quando si tratta di expatriates gli aspetti da prendere in considerazione sono molteplici. Pertanto, avvalersi di una consulenza per la compliance normativa, per analizzare la propria posizione fiscale o le problematiche fiscali dell’azienda che distacca il personale all’estero, può rivelarsi essenziale.