Il programma di Fratelli d’Italia prevede vari sgravi fiscali, ma anche il rispetto delle politiche di bilancio: sarà da capire quale dei due impegni prevarrà nell’immediato
Per il momento il mercato sembra fidarsi della nuova linea “governista” di Giorgia Meloni, senza grosse reazioni sullo spread
Il risultato ottenuto da Fratelli d’Italia e dal centrodestra alle elezioni del 25 settembre consentirà, dopo varie legislature turbolente, di costituire una maggioranza stabile in entrambe le camere. Questo, in teoria, dovrebbe rimuovere ogni alibi sulla realizzazione del programma. Eppure, a frenare alcune delle promesse elettorali del centrodestra guidato da Giorgia Meloni potrebbero essere oggettive difficoltà “esterne”. Con una recessione che la maggioranza degli economisti ritiene ormai inevitabile sarà difficile dare seguito alle promesse di sgravi fiscali e di investimenti in infrastrutture, presenti nel programma di Fratelli d’Italia e mantenere, al tempo stesso, l’impegno di non richiedere nuovi scostamenti di bilancio. Per i prossimi giorni sarà dunque importante capire se l’impegno di evitare nuovo deficit prevarrà sulla realizzazione delle promesse più costose del programma, in vista di mesi di stagnazione economica.
Alcuni punti del programma economico-finanziario di Giorgia Meloni sono particolarmente scivolosi sul piano politico, o su quello dei conti e resteranno sotto l’attenzione degli analisti che per ora sembrano credere a una svolta prudente di un partito noto per le sue posizioni euroscettiche e nazionaliste (qui la nostra panoramica post-voto di analisti e gestori). Ecco alcuni dei punti salienti del programma economico-finanziario di Fratelli d’Italia.
La modifica del Piano per la ripresa e la resilienza (Pnrr)
Nel programma di Fratelli d’Italia, così come nell’accordo quadro per un governo del centrodestra, viene indicata la volontà di modificare il Piano sul Recovery concordato con la Commissione europea. “Il Pnrr rappresenta una grande occasione per la modernizzazione dell’Italia e delle sue infrastrutture e per la ripartenza economica della Nazione. Per questo è fondamentale utilizzare al meglio le risorse, tenendo conto del nuovo contesto emerso a seguito della guerra in Ucraina e della crisi energetica”. In particolare, FdI intende ottenere un “mirato aggiornamento del Pnrr alla luce della crisi scaturita dal conflitto in Ucraina e dall’aumento dei prezzi delle materie prime… proponendo alla Commissione di operare modifiche specifiche nei limiti di quanto stabilito dall’art. 21 del Regolamento europeo sul Next Generation Eu”. L’obiettivo della modifica sarebbe “destinare maggiori risorse all’approvvigionamento e alla sicurezza energetici, liberare l’Italia e l’Europa dalla dipendenza dal gas russo, e mettere al riparo la popolazione e il tessuto produttivo da razionamenti e aumenti dei prezzi”.
E’ una strada legalmente percorribile? E a quali condizioni? L’articolo 21 del regolamento 2021/241 prevede la modifica del “piano per la ripresa e la resilienza, compresi i pertinenti traguardi e obiettivi”, se quest’ultimo, “non può più essere realizzato, in tutto o in parte, dallo Stato membro interessato a causa di circostanze oggettive”. In altre parole, il governo dovrebbe dimostrare alla Commissione europea che le condizioni concordate in precedenza non sono più materialmente realizzabili. Se la Commissione dovesse negare la modifica, la richiesta del governo italiano sarebbe semplicemente respinta. Se, in seguito, l’Italia dovesse mancare gli impegni sul Pnrr, i fondi europei, che vengono erogati in diverse porzioni vincolate al raggiungimento degli obiettivi, finirebbero con il bloccarsi. Il timore di perdere i miliardi del Recovery dovrebbe incoraggiare i governi nazionali a mantenere, nel loro stesso interesse, gli impegni presi in precedenza.
Ma non è tutto. Non rispettare i piani di riforma concordati per il Pnrr, inoltre, precluderebbe all’Italia il sostegno dello scudo anti-spread introdotto dalla Bce lo scorso luglio. Una delle condizioni perché la Banca centrale europea possa, in caso di necessità, contenere lo spread acquistando titoli di Stato è proprio il rispetto degli “impegni presentati nei piani di Ripresa e resilienza per il Recovery and Resilience Facility”.
Se il negoziato sul Pnrr dovesse risolversi con un rifiuto da parte dalla Commissione sarebbe molto costoso per il governo uscire dai binari concordati: si fermerebbero i fondi del Recovery e il costo per finanziare nuovo debito salirebbero assieme con lo spread.
L’alleggerimento del fisco
Il programma del centrodestra prevede la riduzione di alcune tasse, con diversi accenti fra i vari partiti della coalizione. Le misure per aumentare le entrate confidano sullo slancio sulla crescita impresso dagli sgravi. In particolare, Fratelli d’Italia ha promesso:
- Una riforma dell’Irpef con progressiva introduzione del quoziente familiare (che riduce gli oneri fiscali per le famiglie più numerose);
- estensione della flat tax per le partite Iva fino a 100mila euro di fatturato (oggi è in vigore un’aliquota al 15% fino ai 65mila euro);
- introduzione della flat tax sull’incremento di reddito rispetto alle annualità precedenti [per le partite Iva], con la prospettiva di un ulteriore ampliamento per famiglie e imprese.
Per nessuno di questi provvedimenti è indicata la relativa copertura, ossia quali spese sarebbero ridotte o quali entrate aumentate per controbilanciare la riduzione del gettito fiscale per lo Stato.
La cosiddetta flat tax incrementale, in particolare in cosa consiste? E’ un’aliquota che agisce solo per le attività professionali (o, in una seconda fase, persone fisiche/giuridiche) che abbiano riscontrato un incremento di reddito o fatturato da un anno all’altro. Solo tale incremento sarebbe tassato con la nuova aliquota, mentre per la parte restante resta in vigore il fisco attualmente vigente. Considerando le ridotte prospettive di crescita economica nel 2023, l’introduzione della flat tax incrementale ridurrebbe di poco il gettito atteso nel primo anno. Paradossalmente, non ci sarebbe alcuno sgravio per quelle partite Iva che subiranno una riduzione di reddito in un anno che si prevede difficile.
Sul fronte dell’impresa, FdI ha promesso anche:
- “La progressiva eliminazione dell’Irap”, un’imposta regionale a carico delle imprese che concorre a finanziare la sanità
- “Cedolare secca al 21% anche per l’affitto degli immobili commerciali in zone svantaggiate e degradate”.
Il partito di Giorgia Meloni, inoltre, ha preso l’impegno di “ridurre le tasse sul lavoro attraverso il taglio strutturale del cuneo fiscale e contributivo, a vantaggio di lavoratori e imprese”, anche se non viene data un’indicazione più precisa sulle modalità o sull’ampiezza dell’intervento.
No alle patrimoniali e lotta alla grande evasione fiscale
Non meno importante è stato, poi, l’impegno di tutto il centrodestra nel non introdurre nuove imposte patrimoniali – una presa di posizione che riduce il campo d’azione del governo per compensare la riduzione delle tasse sul lavoro promessa.
Il recupero delle risorse dall’evasione fiscale, poi, viene affrontata mettendo l’accento sugli “evasori totali, grandi imprese, banche e grandi frodi sull’Iva”, ma senza specificare quali saranno i controlli aggiuntivi.
Per tutto il centrodestra, poi, è un obiettivo l’innalzamento del limite all’utilizzo del contante dagli attuali mille euro “allineandolo alla media dell’Unione europea”, secondo quanto affermato nel programma FdI, o a 10mila euro, secondo la Lega.
Secondo il programma di Meloni, infine, il rapporto tra fisco e contribuente dovrebbe essere ricucito, per le cartelle in essere, da un “saldo e stralcio fino a 3mila euro per le persone in difficoltà e, per importi superiori, pagamento dell’intera imposta maggiorata del 5% in sostituzione di sanzioni e interessi”.