Discussioni in corso fra il fondo internazionale Bc Partners e gli azionisti del club nerazzurro, il socio di controllo Suning e quello di minoranza Lionrock Capital. Sotto osservazione anche Genoa, Sampdoria e Udinese
Nunziata: “Oggi il calcio sta attraversando una fase particolarmente difficile, motivo per cui, dal punto di vista dell’M&A, è possibile concludere transazioni che in un’altra fase sarebbero risultate più complesse”
Secondo un’analisi del Financial Times, la transazione sportiva più importante del 2020 è stata la vendita da 2,4 miliardi di dollari dei New York Mets (della Major League Baseball) al gestore di hedge fund, Steve Cohen
Qual è il futuro del settore in tal senso? “Nel periodo antecedente allo scoppio della pandemia, gli interessi dei fondi di private equity erano legati non solo al desiderio di grande visibilità ottenibile dall’essere azionista di riferimento di una squadra sportiva importante, ma anche a tutto l’indotto a essa correlato, dalle pay tv agli sponsor. Un indotto in crescita – spiega Nunziata – Oggi il calcio sta attraversando una fase particolarmente difficile, motivo per cui, dal punto di vista dell’M&A, è possibile concludere transazioni che in un’altra fase sarebbero risultate più complesse, perché il venditore avrebbe chiesto molto di più o perché ci sarebbero stati più compratori. Di conseguenza, per chi dispone della liquidità necessaria e ha una strategia d’investimento pluriennale, può essere un ottimo momento”.
Dal calcio al baseball: interessi in giro per il mondo
Ma il business del calcio non è l’unico a catturare le attenzioni degli investitori istituzionali. Stando a una recente analisi del Financial Times, la transazione sportiva più importante del 2020 è stata la vendita da 2,4 miliardi di dollari dei New York Mets (della Major League Baseball) al gestore di hedge fund, Steve Cohen. “Il paradosso è che, sebbene il calcio sia lo sport più seguito al mondo, le società valgono infinitamente meno di quelle statunitensi attive nel basket, nel baseball o nel football americano – spiega Nunziata – Questo perché sono mercati più ricchi, sono entrati prima nel mondo delle pay tv e del merchandising, hanno un network molto più definito e stabilizzato. Non è che i giri d’affari siano tanto diversi, ma le valutazioni sono più elevate. Però in un mondo globalizzato le cose tendono a omogeneizzarsi. Per cui, se oggi una squadra di calcio con un buon brand costa relativamente poco, è presumibile che nel giro di alcuni anni recuperi questo gap”.