Nel 2020 i fondi pensione gestivano in Italia una somma pari al 9,8% del Pil – contro una media Ocse al 63,5%
Talvolta questo genere di confronto viene interpretato come il sintomo di una grande leggerezza da parte dei risparmiatori italiani, che si affidano ancora, in massima parte, alla previdenza obbligatoria pubblica. Per inquadrare correttamente la situazione, tuttavia, bisogna tenere conto che i sistemi previdenziali non sono immediatamente comparabili. “In alcuni Paesi la previdenza complementare è obbligatoria”, aveva ricordato nel suo ultimo rapporto Itinerari Previdenziali, e in tali realtà “spesso le pensioni pubbliche offrono tassi di sostituzione particolarmente ridotti”. In altre, si tratta di pensioni che coprono una percentuale molto bassa del reddito percepito prima del ritiro dal mondo del lavoro.
Secondo il più recente report Pensions at a Glance, in Italia la percentuale dei contributi previdenziali obbligatori si trovava, nel 2018, al 33%. Tale percentuale è “solo” del 18,4% nella media dei Paesi sviluppati, mentre negli Stati Uniti si scende ulteriormente al 12,4%.
A completare il quadro è il tasso di sostituzione netto delle pensioni italiane, che, nel 2018, era il quarto più elevato al mondo per quanto riguarda gli uomini e il più elevato in assoluto per le donne (al 91,8% per entrambi).
Fra il 2019 e il 2020 il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, aveva anticipato la creazione di un fondo di previdenza complementare gestito dal settore pubblico. Il suo obiettivo sarebbe stato, fra le altre cose, aiutare i giovani lavoratori con carriere discontinue ad alimentare il proprio risparmio previdenziale e a “modificare in qualche modo l’attuale composizione della previdenza complementare gestita dai privati, che attira sostanzialmente soggetti con redditi medio alti”. Da diversi mesi, tuttavia, non sono stati più condivisi aggiornamenti sullo stato di questo progetto.