La quota di investitori istituzionali e wholesale che implementano i criteri Esg è cresciuta dall’84% del 2021 all’89%, con un picco del 93% per l’Europa
A guidare lo slancio Esg sono anche i minori timori di greenwashing: meno della metà degli intervistati ritiene che sia prevalente nel settore dell’asset management
L’Europa continua a guidare la carica della sostenibilità, con il 31% degli investitori che considera l’Esg (Environmental, social, governance) centrale nel proprio approccio d’investimento a fronte del 26% a livello globale. Un contesto che, secondo un nuovo studio di Capital Group, riflette anche un mercato e un quadro normativo più maturo nel Vecchio Continente. E che vede gradualmente dissolversi i sospetti di greenwashing.
L’analisi è stata condotta su un campione di 1.130 investitori istituzionali e wholesale (come fondi pensione, family office, compagnie assicurative, consulenti finanziari, fondi di fondi, banche retail e private) appartenenti a 19 mercati in tutto il mondo. In generale, la quota di coloro che implementano i criteri Esg è cresciuta dall’84% del 2021 all’89%, con un picco del 93% per l’Europa. A guidare lo slancio Esg è anche la più ridotta preoccupazione per il rischio greenwashing (strategia di comunicazione che consiste nel costruirsi un’immagine ingannevolmente positiva sul fronte della responsabilità sociale e ambientale che non trova riscontri concreti e credibili nella realtà): quest’anno, meno della metà degli intervistati ritiene che sia prevalente nel settore dell’asset management (si parla del 48% contro il 57% del 2021), una quota che scivola al 42% nella regione dell’Asia-Pacifico. Inoltre, solo il 55% crede che gli asset manager utilizzino principalmente l’Esg come strumento di marketing, quattro punti percentuali in meno rispetto allo scorso anno.
In questo contesto, la componente “e” dell’acronimo “Esg” continua a far da padrona. L’attenzione nei confronti delle tematiche ambientali, infatti, cattura il 47% degli investitori contro il 44% della precedente rilevazione. Resta invariato il focus sulla “s” mentre cala leggermente quello relativo alla “g”, con quattro intervistati su dieci che ritengono che le questioni sociali in particolare siano state trascurate a favore del dibattito sul cambiamento climatico. Le azioni (80%) e le obbligazioni (58%) rappresentano le classi di attivi più popolari per ottenere un’esposizione Esg, seguite dagli alternativi (47%), dagli immobili (27%) e dalle materie prime (25%). L’integrazione Esg resta invece la strategia d’investimento più utilizzata (59%), accompagnata a stretto giro dagli investimenti tematici (49%) e da quelli a impatto (47%). Circa un terzo degli investitori globali implementa inoltre strategie net-zero (31%).
A trainare invece l’adozione degli Esg sono la soddisfazione delle esigenze della clientela per il 27% e l’impatto positivo per il 25%. Gli investitori nordamericani si lasciano trascinare principalmente dalla soddisfazione dei clienti (42%), quelli europei dall’impatto positivo (28%) e quelli dell’Asia-Pacifico dal miglioramento delle performance (21%). Al contrario, a frenare l’onda sostenibile sono la mancanza di innovazione prodotto per il 39% e i timori di greenwashing per il 22%. A tal proposito, oltre quattro investitori su dieci ritengono che una più accurata applicazione delle normative rappresenti uno dei modi migliori per affrontare l’ambientalismo di facciata, cluster che sale al 48% tra gli investitori dell’Asia-Pacifico. Una percentuale simile di investitori globali (42%) crede che la definizione di standard normativi minimi per prodotti e servizi d’investimento aiuterebbe a sua volta. Mentre il 54% individua nell’aumento della trasparenza su come i gestori di fondi investono una possibile soluzione.
Alla domanda su quale dovrebbe essere la priorità del quadro regolamentare nei rispettivi paesi, il 45% cita la necessità di armonizzare standard, tassonomie e metriche globali. Ricordiamo a tal proposito che la Commissione europea ha recentemente adottato un regolamento delegato sugli standard tecnici che gli operatori dovranno considerare ai sensi della Sustainable finance disclosure regulation (Sfdr), la normativa europea sull’informativa di sostenibilità nel settore dei servizi finanziari. Al momento, infatti, è entrata in vigore soltanto la normativa di “primo livello” e non quella di “secondo” che definisce il dettaglio di trasparenza, il template che dovrà assumere la documentazione precontrattuale o periodica obbligatoria e gli indicatori per il reporting dei principali impatti negativi (Pai). Norme tecniche di regolamentazione (Rts) che dovranno essere attuate a partire dal 1° gennaio 2023.