Un capanno e un cacciavite
Milwaukee, Wisconsin, 1901: queste le coordinate spazio-temporali del primo “prototipo” di Harley. Poco più di una bicicletta, fu costruita in un capanno dal ventenne William S. Harley e dai fratelli Arthur e Walter Davidson, sulla base di un motore rudimentale. Rudimentale al punto che, anche due anni più tardi nonostante le migliorie, la motocicletta non era in grado di salire tratti in pendenza, senza che il pilota fornisse assistenza nella pedalata. Nel 1904 arrivò il primo riconoscimento morale allo sforzo del trio, con la moto che si piazzò quarta in una gara locale allo State Fair Park. L’anno successivo iniziò la produzione ufficiale: cinque esemplari furono prodotti, di cui tre furono venduti dal primo concessionario Harley-Davidson, Carl H. Lang di Chicago. Come il capanno divenne uno stabilimento i volumi iniziarono a crescere. Nel 1906 la produzione contava 50 esemplari; nel 1907 150. I distretti di polizia iniziavano a richiedere con insistenza le motociclette di quella che in quello stesso anno era diventata la Harley-Davidson Motor Company.
Una moto da guerra
L’azienda continuò a crescere e migliorarsi anno dopo anno, iniziando a competere con la rivale Indian, e a conquistare l’attenzione non solo della polizia. Allo scoppio della prima guerra mondiale, l’esercitò commissionò alla Harley moto che potessero essere congeniali per le molte operazioni militari. Ne conseguirono cinque modelli, due monocilindriche e tre bicilindriche con propulsori di circa 1.000 cm³ di cilindrata: le truppe impegnate nel conflitto in Europa furono rifornite di 45 mila Harley. Alla fine del conflitto, H-D era diventata la moto più venduta al mondo, presente in ben 67 paesi. E il primo motore che non era in grado di salire le colline era un lontano ricordo: nel 1921 un’Harley riscrive la storia, raggiungendo per la prima volta i 160 km/h. L’avvento dell’automobile e la crisi economica della fine degli anni venti si fecero sentire su tutta l’industria motociclistica americana, tant’è che solo H-D e Indian, non senza acciacchi, riuscirono a sopravvivere alla grande depressione. Il rilancio avvenne con la seconda guerra mondiale, un revival della prima per la moto di Milwaukee in termini di moto prodotte per l’esercito (88 mila). Sulla falsariga delle Bmw utilizzata dalla Wehmarcht, furono spedite oltreoceano la WLA e la XA.
La crisi e le vittorie mondiali
Gli anni dopo la guerra non furono particolarmente felici per la H-D. Rimasta l’unica motocicletta americana dopo il fallimento della Indian nel 1953, iniziò a subire la concorrenza prima delle rivali inglesi e poi di quelle giapponesi. Il calo di vendite e fatturato portò la Harley ad essere venduta a favore della American Machine and Foundry nel 1969. La gestione dell’AMF non riuscì a risollevare l’Harley dalla crisi, anzi la società rischiò seriamente la bancarotta negli anni settanta. È però in questo periodo, che grazie all’apporto della casa italiana Aermacchi, l’Harley riuscì a conquistare i primi e ultimi titoli iridati della sua storia. Nelle stagioni 1974, 1975 e 1976 le moto italo-americane, condotte da Walter Villa si aggiudicarono quattro titoli piloti e due costruttori nelle classi 250 e 350.
Diventare un Hog
Al netto degli eventi che scandiscono la sua storia, l’Harley Davidson è diventata un vero e proprio mito tra i motociclisti di tutta America. Tant’è che se date dell’hog, ovvero del porco, a un harlista per lui sarà un complimento. Il rimando è al maialino che un gruppo di agricoltori degli anni venti anni usava come mascot portafortuna in sella alla loro Harley. La stessa H-D adottò il termine e creò l’H.O.G, acronimo che sta per Harley Owners Group, associazione dei proprietari di motociclette Harley Davidson. Non si tratta di un motorcycle club ne tantomeno sposa la filosofia dei Onepercenters, motociclisti che vivono una vita on the road sulla loro Harley e che vanno fieri di essere etichettati come attaccabrighe e poco di buono, a differenza del resto del 99% dei motocilisti (come dichiarò l’Ama in seguito ai fatti di Hollister del 1947). Tuttavia come una vera banda di motociclisti ha una propria back patch (anche chiamata colori): si tratta della toppa che si cuce sulla schiena dei gilet dei motociclisti appartenenti a quel motorcycle club. La back patch della HOG è formato da un’aquila con le ali spiegate che sovrasta una ruota a raggi di una motocicletta. Per diventare membro di un Chapter, distaccamento locale della HOG, occorre inoltre un periodo di prova più o meno lungo, durante il quale il candidato dovrà dimostrare partecipazione e voglia di frequentare la vita dell’associazione.
La leggenda chopper da un milione di dollari
Dallo Sportster alla Road King, passando per la Electra Glide – solo per citarne alcuni – sono molti i modelli Harley amati oltremisura. Alcuni Bobber, altri Chopper, ma con il Big Twin sempre sotto la sella. Moto caratterizzate da nudità: tutti gli elementi sovrappiù vengono eliminati secondo il detto bobber “meno è bello” e quello chopper “niente è ancora meglio”. L’Harley più famosa di sempre ascrivibile a quest’ultima categoria è senza dubbio la Captain America guidata da Peter Fonda nel film Easy Rider. Una moto che è entrata nell’immaginario collettivo e che a distanza di anni è ancora capace di fare passare notti in bianco agli appassionati. A tal punto che uno di essi nel 2014 ha spesso la modesta cifra di 1,35 milioni di dollari per acquistarla. Alcuni, tra cui lo stesso Fonda, sono dell’avviso che però non si trattasse dell’originale. Pretesa, quella dell’originalità, avanzata anche da un altro esemplare che andrà all’asta questo giugno in Texas, con una stima di vendita tra i 300 e i 500 mila dollari.