Un paio di notizie di M&A giunte sul finire del 2022 forniscono uno spunto per delle considerazioni di inizio anno sul private equity. In esse toccherò il dogma del private equity, l’alpha, la sua nemesi, il beta e l’illiquidità.
Il dogma è la parola chiave, poiché è l’alpha il principio vero e giusto per il quale si “sopporta” l’illiquidità? O piuttosto andrebbe data maggiore enfasi al beta, ovvero al rendimento medio del mercato privato?
La componente alpha della performance
Giocando con le parole per introdurre il concetto di alpha, il termine Dogma è anche motivo di attrazione per un appassionato di biciclette, in gran parte ormai come oggetto tecnologico ed estetico. Senza nessun intento pubblicitario o coinvolgimento di sorta dell’operazione, la prima notizia ampiamente divulgata cui mi riferisco è che l’azienda Pinarello, che produce queste magnifiche biciclette da corsa, attualmente posseduta un fondo di private equity europeo, è oggetto di interesse da parte di fondi di private equity americani.
Un pezzo di made in Italy ha evidentemente prodotto rendimenti interessanti, più che raddoppiando, come è riportato, fatturato e Ebitda e margini, mantenendo presumibilmente multipli di transazione attraenti. Questo cristallizza il valore e probabilmente l’alpha per il venditore, ma suggerisce che c’è ancora valore per i potenziali compratori.
Indubbiamente, la pandemia ha avuto anche degli effetti benefici su alcuni settori dell’economia. Il mercato delle biciclette – tanto per semplificare la definizione – è letteralmente esploso nelle sue varie forme.
Indubbiamente il settore sta vivendo una trasformazione con l’introduzione delle biciclette elettriche. Ma per limitarci all’Europa, l’Italia è il primo produttore e il settore è atteso in crescita dagli attuali 23 milioni di biciclette vendute all’anno fino ai 30 milioni (dati Cycling Industries Europe).
Evidentemente i gestori dei fondi di mercato privato sanno cogliere trend e realizzare valore, monetizzando il risultato con la cessione degli asset quando gli stessi hanno raggiunto il valore obiettivo del compratore.
A conferma di questo fatto, la seconda notizia che mi ha colpito è la cessione dell’azienda Vittoria da parte di un primario fondo di private equity italiano ad altro financial sponsor. Anche in questo caso senza intento pubblicitario o coinvolgimento di sorta dell’operazione, per gli appassionati, Vittoria è uno dei principali produttori di tubolari (gli pneumatici) per biciclette di alto di gamma.
I due deal raccontano evidentemente lo stesso trend, la domanda nel segmento delle biciclette di alto di gamma, nell’ambito di un più ampio fenomeno di settore. Probabilmente, il “lusso” delle biciclette è ritenuto in grado di crescere e di sopportare le pressioni inflattive e le sfide recessive, passando il maggior costo di produzione ai clienti facoltosi, che continuano a creare domanda, consentendo di mantenere margini molto attraenti. Nel segmento individuato si può presumere eccezionalità di crescita rispetto alla media delle transazioni private e creazione di alpha.
La componente beta della performance
Ma si può dire lo stesso del beta del mercato privato ovvero del rendimento medio complessivo – rispetto al corrispondente rendimento medio del mercato quotato?
Si deve parlare, in questo caso, invece che di alpha, di premio per il rischio rispetto ai mercati quotati. Personalmente non ritengo adeguate le generalizzazioni ottenute usando gli attuali metodi accademici che definiscono alpha quello che dovrebbe essere premio per il rischio, escludendo dal calcolo il rendimento medio del private equity, che non riescono a calcolare.
Credo che il private equity e la sua natura auto-liquidante, di transazione e non di investimento perpetuo richieda una prospettiva più raffinata.
Infatti, la risposta è complessa in assenza di un ampio numero di transazioni diversificato su tutti i settori. Le evidenze relative alle valutazioni dei fondi di mercato privato, quelle riportate dai Nav ufficiali, sembrerebbero supportare la tesi di generazione di premio per il rischio.
Tuttavia, per quanto riguarda i Nav dei fondi di mercato privato, è altresì necessario notare che si parla di valutazioni “sulla carta”, spesso definite stale valuation (valutazioni stagnanti, ma io direi viscose per la lentezza nell’aggiustamento del fair value alla volatilità del mercato quotato).
Liquidità: il caso del Reit non quotato di Blackstone (Breit)
In ogni caso, a me piace guardare le cose dal punto di vista dei mercati dei capitali, in modo pragmatico. Si può osservare, per esempio, la dinamica dei fondi di mercato privato di real estate aperti non quotati contro quelli quotati (Real estate investment trusts – Reit). Si torna a parlare di alpha, ma la logica è generalizzabile per il risk premium.
È ampiamente riportata dalla stampa la situazione del Reit non quotato di Blackstone (Breit) che ha ricevuto richieste di liquidazione quote apparentemente superiori a quelle consentite dal prospetto – per cui gli investitori sono in lista d’attesa, rispetto ai limiti di liquidità mensili e trimestrali.
Ad oggi, ipotizzando un confronto semplificato a livello di performance tra Breit e Reit similari, una eventuale liquidazione a valori di Nav del fondo Blackstone sembrerebbe realizzare una performance superiore rispetto alla vendita di Reit quotati, che a causa del rialzo dei tassi e della congiuntura si sono svalutati di circa il 30%.
Che il maggior valore di Breit rispetto ai Reit sia legato a fattori specifici di Breit non è dato con certezza di sapere nel dettaglio, anche se la circostanza è possibile.
È altresì possibile che i venditori o richiedenti liquidazione delle quote di Breit possano ipotizzare una transazione “relative-value”, vendendo l’asset ampiamente di maggior valore (realizzando alpha per il passato) e comprando l’asset simile che ha avuto un comportamento medio (beta di settore) e che ha potenzialità di alpha per il futuro. Questo avviene nell’ipotesi che il NAV non quotato “rimbalzerà di meno” alla ripresa del settore. Implicitamente, in un contesto di transazioni senza limiti per il Breit, il mercato dei capitali potrebbe definire una forchetta di prezzo di equilibrio per entrambi gli asset.
In questo senso, ha rilevanza evidenziare il valore segnaletico ma non generalizzabile di una recente transazione relativa al fondo Breit. Secondo fonti pubbliche, l’endowment dell’Università della California ha investito 4 miliardi di dollari in Breit al Nav corrente in cambio di un rendimento di circa l’11% annuo per sei anni, a fronte di una protezione dell’obiettivo da un miliardo di dollari offerta dal gestore Blackstone. Se il rendimento non è raggiunto, nei limiti di un miliardo di dollari il gestore compensa con fondi propri l’investitore.
Conclusioni
La transazione, che apparentemente non è replicabile per ogni investitore, segnala due elementi molto importanti che portano alle conclusioni. L’elemento del rendimento atteso dal gestore e la sua fiducia, da un lato, e il prezzo dell’incertezza richiesto al gestore da parte dell’investitore, che è, semplificando, un miliardo di dollari su quattro, ovvero il 25% del prezzo pagato.
Da quanto sopra, seguono un paio di osservazioni. La prima è che la volatilità è il prezzo emotivo della liquidità e questo elemento vale per tutti. Se non si “vede” uno sconto sul Nav, come nel caso della transazione dell’Università della California, c’è un “paracadute” monetario – concetto molto vicino. La seconda è che non tutte le transazioni secondarie o che implicano liquidità sono comparabili e ugualmente fattibili. Uno degli elementi spesso trascurato per le transazioni secondarie e le soluzioni di liquidità del mercato privato è che i costi del prodotto, sopra la soglia istituzionale, sono sempre tutti a carico del venditore. È come l’Iva sulle auto, che viene scontata in toto un attimo dopo l’acquisto.