Che ruolo possono giocare trust e fondazioni alla luce della riforma del terzo settore? A tratteggiare luci e ombre di uno scenario caratterizzato da una grande frammentazione normativa sono stati chiamati gli avvocati Giovanna Mazza (Belluzzo International Partners), Martina Moscardi (Caldara &Associati), Gabriele Sepio (e-Ius Tax&Legal) e Paola Pierri (Pierri Philanthropy Advisory) al seminario organizzato da Step Italy e moderato da Fabrizio Vedana (direttivo Step).
Un regime fiscale unico per tutti gli enti del terzo settore: che cosa si aspetta
Il trust è lo strumento principe per soluzioni creative, poiché ha la flessibilità necessaria per rispondere a bisogni molto diversi. Il trust onlus, in particolare, è la definizione derivante dal riconoscimento di un’attività nel campo della solidarietà e della pubblica utilità.
La riforma del terzo settore è stata avviata nel 2016 ma manca un ultimo passaggio sugli aspetti fiscali che, per la prima volta, prevederà una misura unica per tutti gli enti del terzo settore. Manca l’autorizzazione da parte della Commissione europea sollecitata in maniera proattiva dall’Italia su questo tema e si attendono – è stato sottolineato nel corso del convegno – indicazioni sulla defiscalizzazione degli utili reinvestiti in attività di interesse generale.
È stato ricordato che non tutti gli enti non profit appartengono al terzo settore. La disciplina fiscale che attualmente regola le onlus (organizzazioni non lucrative di utilità sociale) sarà abrogata quando entreranno in vigore le misure fiscali previste dal titolo X del Codice del terzo settore (Cts). I professionisti alle prese con gli adeguamenti statutari di questi enti devono quindi conciliare istanze molto diverse. La questione, ridotta alla sua essenzialità, è quale sia la convenienza all’appartenere al terzo settore. Tale valutazione non può essere impostata solo sul piano fiscale, e non manca qualche diffidenza nei confronti del legislatore tributario. Si tratta piuttosto di un vero e proprio passaggio culturale in cui devono trovare la giusta collocazione il principio della sussidiarietà e dell’interesse generale insieme a quello fiscale. Il modello organizzativo e di gestione possono fare la differenza.
Nel terzo settore, infine, strumenti come il Registro unico nazionale del terzo settore (Runts) assicurano trasparenza agli enti suddivisi in sette categorie (ma ancora vengono censite tutte le realtà esistenti). Le fondazioni e le associazioni del terzo settore possono acquistare la personalità giuridica mediante iscrizione nel Runts.
Quanto pesa il settore della filantropia
Un ambito a sé è quello della filantropia: quanto è grande questo settore? Una stima riportata nel corso dell’evento ha preso come riferimento la ricchezza finanziaria degli italiani nel 2020, pari a oltre 4.770 miliardi, e ha evidenziato che quasi il 90% degli Uhnwi/Hnwi italiani danno una qualche forma di sostegno ad almeno un ente non profit. Di solito si tratta di partecipazione ad eventi di raccolta fondi, donazioni di denaro o beni materiali. Percentuali più ridotte si riferiscono a coloro che si dedicano al volontariato (meno del 15%) ancora meno l’impegno diretto nella governance delle organizzazioni (intorno al 3%).
È vero che nel tempo le attività filantropiche sono cresciute ma i margini di sviluppo sono ancora molto ampi. A frenare le donazioni da parte di chi dispone di grandi patrimoni, infatti, vi è il tema della fiducia nell’operato delle organizzazioni dedite insieme all’elevato numero di richieste. La filantropia oggi si muove in una direzione più consapevole che non si limita alle donazioni ma punta al sostegno di attività economiche di imprese sociali con una varietà di strumenti di finanza sociale (come social impact bond o social venture capital, solo per fare qualche esempio).
Quali sono gli enti che appartengono al terzo settore?
In base a quanto specificato dal D.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 – Cts, sono Enti del terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Oltre ai cosiddetti Ets atipici, che sono ricompresi nella formulazione “gli altri enti di carattere privato diversi dalle società”.
Manca il riferimento «con o senza personalità giuridica» previsto nel contesto normativo che regola attualmente le onlus e che si riferisce a tutte le organizzazioni, a prescindere dalla forma giuridica assunta e dalla qualificazione civilistica.
La circolare dell’Agenzia delle entrate n. 38/E dell’1.8.2011, ha infatti ammesso la possibilità di iscrivere trust all’Anagrafe delle Onlus sulla base della soggettività passiva ai fini tributari (in base a quanto era previsto dall’art. 10 del d.lgs. n. 460/1997). Tra le condizioni necessarie perché ciò sia possibile vi sono: l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale e l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’organizzazione, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale o a fini di pubblica utilità, o quanto diversamente disposto per legge; l’obbligo di redigere il bilancio o rendiconto annuale e anche la scelta di una legge regolatrice le cui norme non ostacolino il perseguimento della solidarietà sociale ed il meccanismo di devoluzione finale dei beni residuali. Infine conta anche la preferenza per un trust opaco (operatività fiscale), cioè quando il trustee ha un potere discrezionale sull’attribuzione dei frutti del trust e i beneficiari non hanno un diritto soggettivo su tali frutti.
Casi particolari: Il trust e il terzo settore
L’assenza di un riferimento espresso alla mancanza di personalità giuridica del trust è stata analizzata durante il seminario, citando la Circolare n. 9 del 21 aprile 2022 del ministero Lavoro e delle Politiche sociali secondo cui «tale formulazione deve essere letta alla luce della prospettiva radicalmente nuova e diversa assunta dal Codice del Terzo Settore, che trae le mosse da una regolazione civilistica degli Ets, solo successivamente prendendone in considerazione il trattamento fiscale».
Che cosa manca quindi al trust per diventare un ente del terzo settore? Secondo la Cassazione il trust non è un soggetto giuridico, ma piuttosto un insieme di beni e rapporti con effetto di segregazione patrimoniale, (…) l’effetto proprio del trust non è quello di dare vita a un nuovo soggetto di diritto, ma quello di istituire un patrimonio destinato ad un fine prestabilito.
Con questa prospettiva il trust difetta di uno degli elementi essenziali della fattispecie; sia per quanto riguarda l’iscrizione ex novo di trust onlus sia per l’iscrizione dei trusts onlus già presenti nell’Anagrafe.
Quale può essere quindi il destino di un trust onlus?
Gli scenari possibili sono tre:
- Nessun destino: i trust di scopo iscritti all’anagrafe onlus devono procedere con la devoluzione del patrimonio residuo del fondo in trust.
- Un possibile destino: modifica da strumento trust a fondazione.
- Un auspicabile destino: prendendo spunto dalla giurisprudenza di legittimità- «istituire un patrimonio destinato a un fine prestabilito» – riconoscere al trust la stessa «dignità» del cosiddetto ramo degli enti religiosi, e dunque l’iscrizione al Runts secondo le condizioni richieste (ex art 14 del Dm 106/2020).