Il tre indagati avrebbero compiuto scambi sospetti per un periodo di 10 mesi e guadagnato circa 1,5 milioni di dollari
Mentre per la Sec americana le crypto scambiate su Coinbase devono essere considerate come titoli finanziari anche alla fine della repressione dei reati, meno chiara è la questione in Italia
Per la prima volta un reato di insider trading è stato contestato sulla base di informazioni privilegiate su criptovalute: è quanto è accaduto a tre soggetti incriminati dalla procura del Southern district of New York, uno dei quali è un ex dipendente di Coinbase, il popolare exchange quotato a Wall Street.
La storia potrebbe lanciare un campanello d’allarme per quanti ritengono che il mondo delle criptovalute sia una terra di nessuno dove le leggi sui reati finanziari non si applicano. La vicenda, infatti, mette in luce come le autorità americane siano apparentemente determinate a trattare i guadagni illeciti realizzati attraverso le crypto alla stregua dei titoli finanziari scambiati sui mercati tradizionali.
“Il nostro messaggio con queste accuse è chiaro: la frode è frode, sia che si verifichi sulla blockchain o a Wall Street”, ha dichiarato il procuratore Damian Williams.
Una storia di insider trading vecchia maniera, in un contesto nuovo
Secondo i documenti depositati dagli inquirenti, i soggetti si sarebbero serviti di informazioni riservate, relative a 14 listing, che sarebbero stati di lì a poco pubblicate sulla stessa Coinbase. Il tre uomini avrebbero compiuto scambi sospetti per un periodo di 10 mesi e guadagnato circa 1,5 milioni di dollari. In totale sono tre i capi d’accusa, per frode telematica e associazione a delinquere finalizzata alla frode telematica.
Secondo la ricostruzione degli investigatori, la catena delle informazioni partiva dal dipendente di Coinbase, che all’epoca dei fatti si occupava dei listing dei criptoasset sulla piattaforma exchange. Da lì, le notizie riservate passavano al fratello e a un altro suo amico, che procedevano con tempismo ad acquistare le criptovalute, anticipando la visibilità che di lì a poco la criptovaluta di turno avrebbe acquisita, con il conseguente aumento di valore. Due dei tre sospettati, l’ex dipendente di Coinbase e suo fratello, sono stati arrestati a Seattle questo giovedì, mentre il terzo è ancora a piede libero.
La segnalazione alle autorità è arrivata in seguito a un’indagine interna a Coinbase risalente allo scorso aprile. Gli avvocati dei soggetti incriminati hanno respinto ogni accusa a proprio carico.
Potrebbe accadere la stessa cosa in Italia?
Il reato di abuso di informazioni privilegiate punisce l’insider trading in fattispecie pienamente coincidenti a quelle contestate ai tre soggetti incriminati dalla Procura newyorchese. Ma non mancano le ambiguità.
Infatti, in Italia il reato viene commesso da “chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della partecipazione al capitale di una società, ovvero dell’esercizio di una funzione, anche pubblica, di una professione o di un ufficio acquista, vende o compie altre operazioni, anche per interposta persona, su strumenti finanziari avvalendosi delle informazione medesime…”. Se le criptovalute siano o meno “strumenti finanziari” è una questione che attende una vera definizione nel nostro ordinamento. Secondo una direttiva europea, 2018/843/UE le valute virtuali sono “una rappresentazione di valore digitale…” e, dunque, non un uno strumento finanziario.
Al contrario la Sec, la Consob americana, ha dichiarato che gli asset scambiati su Coinbase devono essere considerati titoli e regolati come azioni e bond. Per quanto il ceo di Coinbase, Brian Armstrong, abbia attivamente dato il via alle indagini segnalando le operazioni sospette agli investigatori si è anche detto in forte disaccordo con la Sec, sostenendo che le cripto attività non sono titoli finanziari. I tre soggetti infatti sono stati incriminati non per securities fraud, frodi relative ai titoli finanziari, bensì per wire fraud – fattispecie entro la quale rientrano le truffe telematiche.