Nei paragrafi che seguono si fornirà una breve illustrazione della disciplina agevolativa e delle principali questioni dalla stessa poste.
Il meccanismo incentivante
Entrando più nel dettaglio della disciplina, essa prevede che, al verificarsi del presupposto di legge (come la cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari “deteriorati” entro il 31 dicembre 2020), la società cedente possa trasformare le proprie Dta in credito d’imposta, per la parte delle medesime Dta che si riferisce alle perdite fiscali pregresse ed alle eccedenze di Ace non ancora dedotte o utilizzate, entrambe – tuttavia – assunte per un ammontare complessivo non eccedente il 20% del valore nominale dei crediti ceduti.
Così, ad esempio, la cessione – entro il 2020 – di crediti “deteriorati” del valore nominale di un miliardo di euro comporterà, per la società cedente, la possibilità di trasformare in credito d’imposta una quota di Dta riferibile a (massimi) 200 milioni di euro di perdite pregresse e/o eccedenze di Ace residue, equivalente – assumendo un’aliquota Ires del 24% – a 48 milioni di euro [1].
La disciplina in parola, quindi, consente alle imprese di “monetizzare” immediatamente “posizioni fiscali” (più esattamente attività per imposte anticipate relative a perdite fiscali pregresse ed eccedenze di Ace) che, altrimenti, avrebbero potuto essere utilizzate solo negli anni futuri e previo conseguimento di imponibili positivi, e si pone pertanto quale intervento a sostegno alla liquidità delle imprese medesime.
Ulteriori disposizioni
La trasformazione delle Dta in crediti d’imposta è condizionata all’esercizio, da parte della società cedente, di un’opzione, da esercitare entro la chiusura dell’esercizio in corso alla data in cui ha effetto la cessione dei crediti ed efficace dall’esercizio successivo.
Il riferimento è all’opzione di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto-legge n. 59 del 2016, che, al fine di superare possibili criticità in tema di disciplina sugli aiuti di Stato, assoggetta le Dta convertite in credito d’imposta, per le quali non sono state corrisposte imposte, all’obbligo di pagamento di un “canone annuo” pari all’1,5% [2], da applicarsi fino al loro progressivo “esaurimento” (man mano che l’impresa consegua imponibili positivi e paghi imposte, che non si sarebbero rese dovute in caso di mancata conversione delle predette Dta) e comunque non oltre l’esercizio in corso al 31 dicembre 2030.
Principali criticità e questioni interpretative
Come anticipato, la disciplina recata dall’articolo 55 del decreto Cura Italia, solleva una serie di questioni interpretative, oltre a presentare una certa complessità rispetto al meccanismo dell’opzione e della determinazione del canone annuo, brevemente commentati nel paragrafo precedente.
In proposito, limitandoci alla menzione delle questioni più importanti, un primo dubbio attiene all’individuazione del momento a partire dal quale il credito d’imposta è utilizzabile per la compensazione, non essendo del tutto chiaro, in particolare, se lo stesso possa essere ravvisato in quello della cessione del credito.
Una seconda questione di rilevante interesse pratico riguarda l’individuazione del “perimetro” delle cessioni “eleggibili”, ritenendosi – ad esempio – che nella disciplina agevolativa de qua dovrebbero farsi rientrare le operazioni di cartolarizzazione e più in generale le cessioni pro solvendo (e non solo quelle pro soluto) e che più in generale il concetto di “cessione dei crediti” vada interpretato secondo un approccio giuridico-formale (indipendentemente, quindi, dalla derecognition del credito dal bilancio).
Infine, la mancanza di regole ad hoc per le società aderenti ai regimi fiscali della trasparenza e/o del consolidato potrebbe rendere problematica la conversione delle Dta, per la possibile non coincidenza tra il soggetto titolare delle posizioni soggettive rilevanti (ad esempio: le perdite fiscali pregresse, che la legge attribuisce al socio di società trasparente o alla consolidante), da un lato, e il soggetto titolare dei crediti pecuniari potenzialmente trasferibili (ad esempio: la consolidata o la società trasparente).
Conclusioni
A talune delle questioni interpretative sopra indicate si era tentato di dare soluzione mediante una serie di proposte emendative dell’articolo 55 del Cura Italia, che tuttavia, in sede di conversione del decreto in legge, non hanno trovato accoglimento.
Allo stesso tempo, il mondo delle imprese e gli operatori del settore degli Npl hanno sin da subito auspicato un innalzamento del limite del 20% del valore nominale dei crediti ceduti, sopra ricordato, ritenendo quest’ultimo eccessivamente contenuto rispetto all’obiettivo del sostegno finanziario.
Alla luce di quanto precede, pertanto, è ben possibile che il legislatore intervenga nuovamente sulla disciplina in esame, al fine di chiarirne determinati profili applicativi, fermo restando – tuttavia – che, per l’efficacia della misura, sarà fondamentale l’emanazione di chiarimenti ufficiali da parte dell’Agenzia delle entrate, volti ad eliminare incertezze interpretative ed auspicabilmente orientati a massimizzare la fruibilità della disposizione.
[1] In altri termini, ipotizzando che la società abbia perdite fiscali ed eccedenze Ace “capienti” (superiori al limite del 20% del valore nominale dei crediti ceduti), e assumendo l’aliquota Ires ordinaria (24%), la quota di Dta trasformabile in credito d’imposta sarà pari a: valore nominale dei crediti ceduti x 20% x 24%.
[2] Deducibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap nell’esercizio in cui avviene il pagamento.