“Mandiamo un rendiconto trimestrale su un indirizzo che ci fornisce il cliente, ma anche su Pec per essere tracciabili. In alcuni casi li spediamo anche fisicamente”
“I clienti possono richiedere la documentazione in ogni momento contattando la società o l’advisor”
“I costi sono riportati sulla terza pagina dei nostri rendiconti, in maniera analitica, e sono compresi quelli della banca depositaria per chi ha una gestione. Se il rapporto è solo di consulenza, ci sono i nostri costi e quelli degli strumenti consigliati”
Trasparenti dal 2010
“Noi abbiamo rendiconti Mifid2 compliant dal 2010. L’unica cosa che abbiamo fatto dalla fine del 2018, in conformità alla nuova normativa, è stato di rendicontare anche i costi degli Etf che utilizziamo. Non prendiamo rebates da nessuno, quindi è difficile che il cliente possa in qualche modo non venire a conoscenza dei costi: quello che poteva sfuggire in passato era il costo di intermediazione di Ubs, del quale comunque non tratteniamo alcuna percentuale. L’unico aspetto su cui la Mifid ha aumentato per noi l’onere – prosegue l’amministratore delegato – è quello di specificare anche quanto costa lo strumento che si compra. Invece tutta la parte ‘nascosta’ è nel collocamento dei fondi e nelle united linked. Lì capire esattamente quanto si paga è un po’ più difficile”.
Come avete inviato i vostri rendiconti?
“Mandiamo un rendiconto trimestrale su un indirizzo che ci fornisce il cliente, ma anche su Pec per essere tracciabili. In alcuni casi li spediamo anche fisicamente. I clienti possono richiederli comunque in ogni momento contattando la società o l’advisor. I costi sono riportati sulla terza pagina dei nostri rendiconti, in maniera analitica, e sono compresi quelli della banca depositaria per chi ha una gestione. Se il rapporto è solo di consulenza, ci sono i nostri costi e quelli degli strumenti consigliati. Nel 99% dei casi utilizziamo titoli o Etf. Poi c’è il costo percentuale e assoluto (declinato nelle sue parti) così che il cliente sappia che a fronte di, ad esempio, un milione di euro investito, a noi ha dato ottomila euro in un anno: così vede il costo complessivo, sia con la fiscalità che prima”.
Il cliente ha gli strumenti per capire qual è il valore aggiunto della consulenza?
“Nel primo trimestre di Assoreti la raccolta è derivata per l’82% dai prodotti captive. Questo vuol dire che le reti vendono soprattutto i prodotti di gruppo. Continuiamo, in Italia, ad avere di fatto una distribuzione monomarca, i prodotti assicurativi sono al 100% captive – questo però è più comprensibile perché ormai il parterre di reti di consulenza è composta in gran parte di compagnie assicurative”. Ma il cliente non conosce la differenza tra un fondo captive e uno che non lo è. “Adesso la consulenza si basa su un processo fiduciario, però auspico che Mifid2 metta il cliente di fronte a quello che sta spendendo e lo spinga a fare ragionamenti diversi. Il rapporto fiduciario va benissimo finché è soddisfacente. Ma a livello di costi non sta più in piedi: è insostenibile che il rendimento del decennale sia poco sotto l’1% e i rendiconti superino il 3%.
Credo che nei prossimi due anni una delle conseguenze di Mifid2 sarà la compressione dei costi a causa dell’aumento della concorrenza”. Ora che i costi, in un modo o nell’altro, vengono esplicitati, il consulente (della rete o fee only) può fare un confronto con i concorrenti e, eventualmente, portarlo come elemento nella contrattazione con il cliente. “Mifid2 costringerà le aziende a rivedere le strutture di costo e a diventare più efficienti. Auspico una trasformazione, e non da poco. Succederà quello che abbiamo visto nella telefonia: la concorrenza ha obbligato a ridurre le tariffe. E poi si trasformerà in una consulenza a tutto tondo, perché il cliente italiano ne ha bisogno, specie sull’aspetto previdenziale. Mifid2 è il primo passo verso la consapevolezza. L’industria è arroccata su modelli vecchi, ma finché il mercato non richiede a gran voce dei cambiamenti, perché cambiare?”.
Le grandi società di intermediazione sono agevolate, rispetto alle piccole, in fatto di analisi dei dati?
“Se parliamo di grandi Sgr è vero che c’è una capacità di analisi che le piccole società non potranno mai raggiungere. Se parliamo invece dagli intermediari, grandi attività di analisi non ci sono. Inoltre, le grandi strutture si perdono in procedure, in carriere non determinate dai meriti che nelle piccole non ci possiamo permettere. Anzi siamo tenuti a valorizzare il patrimonio dei clienti come non fanno le grandi, perché per una grande struttura perdere dieci clienti non è un grande problema, per la piccola ovviamente sì. C’è poi il tipo di offerta che viene fatto: le grandi sono state costrette, anche per numero di consulenti, a standardizzare l’offerta. La personalizzazione le grandi strutture non ce l’hanno, è il banker che adatta il cliente all’offerta. Le piccole viceversa adattano l’offerta al cliente: possiamo permettercelo perché possiamo comprare qualsiasi tipo di prodotto. Se invece sei vincolato al prodotto captive la tua scelta si restringe. Le big company offrono il marchio, la sicurezza, la dimensione, ma fanno un lavoro diverso, distribuiscono i prodotti della casa. Il che non è meglio o peggio, l’importante è che il cliente sappia cosa sta comprando. Quando un consulente vende l’82% dei prodotti della casa di appartenenza, smette di essere ‘consulente abilitato all’offerta fuori sede’ e dovrebbe forse farsi chiamare ‘salesman’ della casa. Sarebbe un approccio più onesto verso il cliente”.