Pare che ci risiamo. Un altro
too big to fail sta agonizzando a causa dell’assenza di adeguate misure di controllo e un vero
risk management. Dopo il recentissimo annuncio alla Borsa di Hong Kong dell’interruzione dell’operazione di cessione della maggioranza della sua divisione di servizi immobiliari a Hopson Development Holdings che avrebbe garantito a
Evergrande nuova finanza per 2,6 miliardi di dollari, Lehman Brothers potrebbe perdere, solo dopo 13 anni, il suo podio nella classifica dei più grandi fallimenti bancari della storia.
E ciò, evidentemente, preoccupa molto analisti e operatori, perché dopo la pandemia, il propagarsi sui mercati globali degli effetti di una nuova crisi di questo genere sarebbe davvero un colpo durissimo.
Ma cerchiamo di comprendere meglio le ragioni di questa
nuova bolla immobiliare, che sono piuttosto differenti dal caso Lehman, ma che, in comune, hanno l’assenza di adeguate regole di
risk management per le banche
retail, di vigilanza dei regolatori e di adeguati presidi per scongiurare asimmetrie informative e distorsioni di mercato.
La totale chiusura ai mercati stranieri dell’economia ha spinto i risparmiatori cinesi a investire massicciamente nel mattone e le banche li hanno seguiti, cercando di cavalcare una bolla (peraltro labile) del mercato immobiliare residenziale.
Dai dati che trapelano, parrebbe che l’indebitamento per i mutui immobiliari abbia raggiunto un livello pari al 62% del Pil cinese. E, come in tutte le bolle speculative, questi debiti sono stati contratti non tanto per l’acquisto di immobili già realizzati, ma per pagare anticipi per circa un milione e mezzo di abitazioni ancora da costruire, nella speranza di rivendere “su carta” e prendersi l’upside del valore, senza neppure perfezionare l’acquisto.
A questo punto, decisamente troppo tardi, il governo cinese è intervenuto calmierando i prezzi degli immobili e limitato l’indebitamento degli sviluppatori immobiliari.
Ma la cura sta uccidendo il paziente. I prezzi del residenziale sono crollati, trascinando con sé gli sviluppatori che non sono stati più in grado di ripagare il debito. I limiti alla leva in bilancio hanno poi imposto di vendere (o svendere) alcune linee di business, deprimendo ulteriormente i valori e creando crisi di liquidità.
Proprio come per Evergrande, che – senza il salvagente della cessione a Hopson Development Holdings – resta la società più indebitata al mondo e dovrà trovare rapidamente i mezzi per far fronte ai suoi obblighi con i
creditori, che paiono ammontare a più di 300 miliardi di dollari. In una nota alla Borsa, Evergrande ha comunicato che “farà del suo meglio per negoziare il rinnovo o la proroga dei suoi prestiti o altri accordi alternativi con i suoi creditori, viste le difficoltà, le sfide e le incertezze nel migliorare la sua liquidità, non vi è alcuna garanzia che il gruppo sarà in grado di adempiere ai propri obblighi finanziari ai sensi dei relativi documenti di finanziamento e altri contratti”. Una sorta di
default annunciato.
Resta ora l’argine del governo cinese, che potrebbe decidere un salvataggio in extremis per evitare un propagarsi sui mercati degli effetti nocivi e per cercare di non rendere del tutto inappetibile il mercato agli investitori stranieri, già allontanati dall’eccessiva regolamentazione e dalla presenza statale ritenuta assai ingombrante.
Vedremo se gli attuali governanti saranno ancora della stessa filosofia di Mao quando affermava “Il cielo protegge con amore coloro che non vorrebbe veder distrutti”.
Pare che ci risiamo. Un altro too big to fail sta agonizzando a causa dell’assenza di adeguate misure di controllo e un vero risk management. Dopo il recentissimo annuncio alla Borsa di Hong Kong dell’interruzione dell’operazione di cessione della maggioranza della sua divisione di servizi immobilia…