Le criptovalute sono delle monete virtuali che non esistono in forma fisica, non esistono rappresentazioni cartacee o metalliche, ma sono basate sulla “crittografia”, ovvero una scrittura segreta che può essere compresa solo da chi
conosce quel particolare algoritmo capace di decifrare il messag- gio. La particolarità è che queste monete virtuali si sono diffuse, soprattutto tra i trader, in pochissimi anni, pur non essendo state create da nessuna Banca centrale.
Queste monete vengono conservate in un portafoglio digitale, denominato “wallet”, e vengono gestite da una rete di computer privati e server. Ci sono tre diversi tipi di wallet: il wallet fisico, la classica chiavetta da inserire nel pc, il wallet decentralizzato, che non ha una sede in quanto esistente sulla blockchain, su un browser o su internet, e il wallet con sede estera, creato e gestito da una società con sede estera. Altra particolarità è che le mo- nete si possono negoziare in qualsiasi momento della giornata e sette giorni su sette proprio perché il loro scambio non avviene sui mercati regolamentati. Nel 2009 è stata inventata da Satoshi Nakamoto – la cui indentità è avvolta nel mistero – la criptovalu- ta più famosa, il Bitcoin. Successivamente ne sono state create molte altre tra cui Litecoin, Ethereum, Monero, Ripple.Profilo che merita di essere accennato è quello fiscale. Le criptovalute detenute all’estero da residenti fiscali nazionali devono essere sempre dichiarate al Fisco. L’articolo 4 del decreto legge 167/90, normativa sul monitoraggio fiscale, prevede che “le persone fisi- che che posseggono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia” devono dichiararle nel proprio quadro RW del Modello della dichiarazione dei redditi. Le Criptovalute non sono soggette all’imposta Ivafe, in quanto quest’ultima si applica solo ai depositi e ai conti correnti di natura bancaria. La mancata compilazione del quadro Rw citato comporta l’applicazione di una sanzione dal 3% al 15% delle somme non indicate. Per quanto riguarda, invece, la tassazione di eventuali redditi dovuti alla detenzione di tali valute ancorché virtuali occorre precisare che l’autorità fiscale nazionale considera le criptovalute alla stregua di una valuta estera. Tale principio comporta che ai sensi dell’articolo 67, comma 1-ter del Testo Unico dell’Imposta sui Redditi “le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che
el periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a cento milioni di lire per almeno sette giorni lavorativi continui”. Quindi, superati i limiti innanzi menzionati, l’Agenzia delle Entrate considera l’attività come speculativa e quindi soggetta al pagamento delle imposte sulle eventuali plusvalenze.
Questa posizione dell’Agenzia delle Entrate costituisce una limitazione alla possibilità di effettuare un investimento finanziario in criptovalute per il tramite di un mandato fiduciario.
Gli intermediari finanziari presso i quali sono detenuti i conti correnti in valuta, infatti, hanno l’obbligo di comunicare annualmente all’Agenzia delle Entrate, tramite il Modello 770, l’eventuale superamento del limite di 51.645,69 euro. Tale comunicazione ha lo scopo di consentire all’Agenzia delle Entrate di verificare il corretto adempimento degli obblighi tributari da parte dei contribuenti. In questi casi, infatti, il decreto legislativo 461 del 21 novembre 1997 prevede che non può essere fatta opzione per la tassazione tramite regime amministrato dei redditi da valuta e, pertanto, prevede l’obbligo a carico del contribuente di optare per l’adozione del regime dichiarativo. Con la pubblicazione di recenti notizie apparse sulla stampa specializzata, sembra che il panorama delle criptovalute, però, sia destinato a mutare molto velocemente anche a seguito della nascita delle prime banche che, oltre ai servizi tradizionali, possono offrire anche i servizi cripto. Questo comporta, quindi, la possibilità di avere un proprio conto corrente in criptovalute, il cui valore viene certificato da un estratto conto e di avere anche una card che consente di effettuare degli acquisti laddove possibile. Sono nate anche le prime banche che offrono dei conti correnti aventi ad oggetto criptovalute. Da queste indicazioni sembrerebbe emergere un’opportunità per le società fiduciarie, le quali potrebbero essere intestatarie di un conto corrente espresso in criptovalute nei limiti previsti dall’articolo 67 del TUIR citato, oppure sottoscrivere un certificato di investimento avente come sottostante le criptovalute. In questo modo le società fiduciarie, quali intestatarie dei rapporti, potrebbero svolgere la propria attività di sostituto d’imposta, evitare che il fiduciante sia obbligato a inserire nella propria dichiarazione dei redditi gli investimenti effettuati in criptovalute e assicurare anche la riservatezza tipica del mandato fiduciario.