Il credito d’imposta per ricerca e sviluppo viene concesso dallo Stato italiano a tutte le imprese trasversalmente ai settori di appartenenza e alle forme giuridiche
A partire dal 2019 va dal 25 al 50% delle spese sostenute, per un importo non superiore a 20 milioni per ogni annualità
Per chi non ne ha ancora usufruito, è possibile presentare una dichiarazione integrativa pluriennale andando indietro fino all’anno d’imposta 2015
Come calcolarla: ecco un esempio
L’agevolazione si calcola in via incrementale. Considerando, ad esempio, che l’anno d’imposta di riferimento sia il 2015 e i costi agevolabili siano pari a 100, si calcola “quanti costi sarebbero agevolabili in termini di ricerca e sviluppo nel triennio 2012-2013-2014 – spiega la Romagnoli – Ipotizziamo che la media calcolata sia 30, si sottraggono ai 100 iniziali e si va a calcolare il delta sulle tipologie di costi, applicando le percentuali di agevolazione che sono variate nel corso degli anni”.
Inoltre, precisa l’esperta, per chi non ne ha ancora usufruito è possibile presentare una dichiarazione integrativa pluriennale, andando indietro fino all’anno d’imposta 2015. “Un aspetto molto positivo in un momento di crisi finanziaria e di liquidità come quello che stiamo attraversando oggi a causa della pandemia”, commenta. “Si tratta di costi che gli imprenditori dovrebbero comunque sostenere per gestire le aziende – aggiunge Suglia – Se però, anziché comprare un prodotto da terzi e poi rivenderlo, lo sviluppano in casa propria creando innovazione sulle proprie attività, lo Stato lo riconosce. Noi li supportiamo nell’analizzare i processi di innovazione, verificando come possano essere rappresentati e rendicontati in maniera corretta e coerente”.
Una misura complementare ai prestiti garantiti
Ma il credito d’imposta può essere considerato un’alternativa ai prestiti garantiti? “È assolutamente un’aggiunta, nel senso che il credito d’imposta è immediatamente compensabile con tutti i contributi e le tasse da pagare tramite il modello F24”, continua Suglia. Questo vuol dire, spiega, che se un’azienda ogni mese spende 150mila euro tra contributi per i dipendenti, iva e tasse, e ha ottenuto ad esempio un credito d’imposta di un milione, per i successivi otto mesi potrà non pagare gli F24 tramite uscite di denaro dai propri conti correnti. Una sorta di “contributo a fondo perduto”, conclude l’esperto: “non si tratta di un prestito da rimborsare, ma di un riconoscimento dello Stato per le aziende virtuose”.