I “non-fungible token” possono certificare un qualsiasi “oggetto”, fisico o virtuale cosicché chi acquista un Nft diventa proprietario di quel bene. Nella maggior parte dei casi gli Nft hanno a oggetto delle opere artistiche digitali. Gli Nft hanno fatto breccia anche nel mercato immobiliare e nella ristorazione.
A febbraio di quest’anno, una casa con cinque camere da letto e tre bagni e mezzo vicino a Tampa, in Florida, è stata acquistata per 210 Ether, circa 635 mila dollari, secondo la rivista Fortune. Inoltre, nel 2023 si prevede che verrà aperto a New York il “primo ristorante Nft al mondo”. Il Flyfish Club sarà l’unico dining riservato ai soli soci la cui appartenenza potrà essere verificata esclusivamente utilizzando un non fungble token.
Finora, sono stati venduti quasi 1.500 token e raccolto un totale di 14 milioni di dollari. Gli Nft esistono dal 2017, ma la moda è esplosa nell’ultimo anno, con opere digitali vendute per diversi milioni di dollari.
Ma come è possibile garantire queste transazioni?
La parola magica è “blockchain”. La blockchain è un registro digitale dove vengono memorizzate le transazioni di dati che non possono essere alterati o eliminati. Le informazioni riportate nel registro non sono modificabili, e accertano che quel prodotto o quel titolo sono unici e non riproducibili.
Per acquistare gli Nft occorre possedere un portafoglio digitale (wallet) e delle criptovalute ovvero delle valute virtuali. Quando si parla di criptovalute si accende il segnale di warning dell’Agenzia delle entrate anche a causa di un vuoto normativo che ad oggi si dovrebbe pensare di colmare. Con la risoluzione 72/E/2016, l’Agenzia ha assimilato le criptovalute alle valute estere. Tale interpretazione, porta con sé, indubbiamente, alcuni obblighi in tema di tassazione (che nel presente articolo non mi soffermo) e in tema di monitoraggio fiscale. Gli obblighi di monitoraggio fiscale, conseguenti alla detenzione della criptovaluta, si concretizzano nella compilazione del quadro Rw della dichiarazione dei redditi delle persone fisiche. L’Agenzia delle entrate, con la risposta all’Interpello n. 788/2021, individua alcune fattispecie al ricorrere delle quali subentrano gli obblighi dichiarativi del residente fiscale nazionale.
Se le criptovalute sono detenute per il tramite di un intermediario finanziario residente in Italia non emerge alcun obbligo dichiarativo. Se, invece, le criptovalute sono detenute per il tramite di un intermediario finanziario non residente in Italia oppure sono detenute per il tramite di portafogli digitali ecco che emerge l’obbligo dichiarativo. L’Agenzia delle entrate, infatti, con la circolare 38/E/2013 aveva già precisato che “sono soggette al medesimo obbligo anche le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti”, e, con la risposta a Interpello 788/2021, precisa che “con riferimento alla detenzione di valute virtuali […] si ritiene che tale obbligo sussista in quanto le stesse costituiscono attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia”, anche per quelle di cui il contribuente “detenga direttamente la chiave privata”.
Orbene, espressa la posizione dell’Agenzia, una domanda sorge spontanea: quanti intermediari nazionali consentono di effettuare degli investimenti diretti in criptovalute esonerando il cliente dalla compilazione del quadro Rw?
E soprattutto quanti Hnwi, residenti fiscali nazionali hanno effettuato investimenti in Nft pagando in criptovalute acquistate per il tramite delle piattaforme online dedicate alla compravendita delle stesse?
L’apertura di un mandato fiduciario ai fini dell’acquisto di criptovalute necessarie per l’acquisto di Nft non solo esonera il residente fiscale italiano dagli obblighi di monitoraggio, ma sicuramente è un ottimo strumento per monitorare e assoggettare a tassazione gli eventuali proventi conseguiti nonché per applicare le disposizioni previste dalla normativa antiriciclaggio.
(Articolo tratto dal magazine di maggio 2022)